Se non avete letto il libro, assisterete a una commedia romantica, anodina, a tratti divertente, recitata in maniera mediocre (tranne il protagonista: lui è bravino e si vede), che si svolge sullo sfondo di una trama poliziesca abbastanza confusa e piuttosto incomprensibile.
Se avete letto il libro, il vostro giudizio sarà allora inevitabilmente più critico. Piccola premessa: pur non essendo un fan di Daniel Pennac, devo riconoscere che Au bonheur des ogres è un polar divertente, scritto con piglio ironico e inventivo, illuminato da una galleria di personaggi molto riusciti a cominciare dal suo protagonista, il famigerato Benjamin Malaussène di professione capro espiatorio. L'adattamento per il grande schermo si è svolto all’insegna di una brutale semplificazione della materia letteraria. I personaggi sono stati appiattiti, svuotati di qualsiasi interesse e ridotti a pure macchiette. Stojil, il guardiano notturno serbo (interpretato da un Emir Kusturica che si limita a ripetere le battute), non ha neanche un briciolo dello spessore che gli aveva dato Pennac; Tante Julia ha il sex-appeal di una pompa di benzina (e non è affatto colpa di Bérénice Bejo); il commissario Coudrier, fine funzionario bonapartista, diventa una comparsa qualsiasi.
Ma non sono solo i personaggi a soffrire l’adattamento; tutta la satira graffiante verso le «convenzioni borghesi» viene disinnescata. Scordatevi il rapporto d’amore di Malaussène nei confronti della sorella Clara, la sua preferita, rapporto che Pennac tiene sempre su un filo sottile («Tu as vraiment le sens de la famille chevillé à l’âme, Benjamin ; tu es amoureux de ta petite sœur Clara depuis sa naissance, mais comme ta morale t’interdit l’inceste, tu fais l’amour avec une autre que tu appelles ta tante.»), anzi, scordatevi proprio Clara: nel film, semplicemente, non c’è! Come non c’è il migliore amico di Malaussène, Théo, l’impiegato gay con le sue giacche dai colori impossibili (e dunque, niente scena surreale dei travestiti brasiliani che irrompono nella stanza da letto). Sparito Théo, sparito anche il suo esercito di vecchietti che scorrazzavano nel Grande Magazzino (una delle invenzioni più azzeccate del romanzo). E a questo punto sorge spontanea la domanda: ma allora, senza Clara, senza Théo, senza vecchietti, tutta la sottotrama poliziesca che fine fa? Per farla breve, diciamo che la storia viene riarrangiata alla meno peggio, attorno alla figura del padre di Sainclair, che diventa il capo degli Orchi.
Dello spirito polar del romanzo di Pennac – uscito nel 1985 per la Série Noire di Gallimard – non rimane insomma davvero nulla. Gli sceneggiatori hanno limato tutte le asperità, censurato tutto quello che poteva risultare scandaloso (!) o sconveniente (!!), trasformando il racconto in una simpatica e un po’ bizzarra storiellina d’amore, girata con stile televisivo, buona da far vedere ai bambini a natale: perfino Julius, il cane che «puzza come una discarica» la cui lingua sa di «pesce rancido e sperma di tigre», appare sullo schermo pulito e bellino.
PS. Mi ha detto mio cugino: «Certo pure tu che ti vai a vedere ‘ste robe. Che t’aspettavi?».
In effetti, da quando ho la carta illimité sono diventato molto meno selettivo.
8 commenti:
dubitare sempre di trasposizioni filmiche di libri. soprattutto di libri scritti bene...
Ma no, perchè "sempre"? Ci sono film bellissimi tratti da libri belli, persino da libri brutti!
fammi qualche esempio, cosi' li recupero :)
Potresti iniziare dall'opera omnia di Kubrick (il primo che mi viene in mente).
ok, grazie. sono messa davvero male col cinema, la honte.
Quindi alla fine l'unico che si salva è il mio amico Raphael Personnaz???
Il tuo amico Personnaz (quando lo inviti alle nostre cene?)è bravino e in Quai d'Orsay è ancora meglio.
Sono d'accordo...esistono film che sono mooolto più interessanti dei libri dai quali sono stati tratti
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