Le aspirazioni verso l'alto non sono le nostre. Gli eroi, i martiri, i geni e gli entusiasti non sono per noi abbastanza silenziosi, pazienti, sottili, freddi e lenti.
(F. Nietzsche, Frammenti Postumi, 1886, 7[70])
1. La lunga notte del commissario Naci.
Il commissario Naci ha un sacco di problemi: ha smesso di fumare, ha un figlio malato, non riesce più a trovare il vero yogurt di bufala (quello che vendono alla latteria vicino al commissariato è pastorizzato e al supermercato non ne parliamo: hanno quello “parzialmente scremato”. Un orrore). Ma il problema più grave del Commissario Naci è Kenan, che ha confessato un omicidio ma non si ricorda (o fa finta di non ricordarsi) dove ha seppellito il corpo. Una carovana di due macchine e una jeep percorre di notte una campagna fatta di dolci colline brulle, fermandosi ad ogni fontanella. Il procuratore (con evidenti problemi di prostata) è ansioso di risolvere il caso. Il medico legale è presente, ma ha la testa altrove. La notte è lunga, Kenan non parla e il commissario, a un certo punto, perde le staffe. E’ il momento di fare una pausa, altrimenti finisce male. Il sindaco del villaggio è contento di ospitare alte personalità e ne approfitta per chiedere al procuratore di intercedere presso il prefetto per l’allargamento del cimitero. Manca una camera mortuaria, gli emigrati vogliono vedere i propri cari prima della sepoltura ma finché arrivano, i morti puzzano. Sono questi i problemi reali che scaturiscono improvvisamente, con un’ironia tutta naturale, a spezzare la bellissima poesia di cui è fatto questo film. La notte si chiude con l’apparizione simbolica di un angelo: Tarkovskij è vivo e lotta insieme a noi.
2. L’alba livida di Keskin.
L’apparizione scioglie l’intrigo: Kenan decide di ricordare e all’alba tutta la comitiva ritrova la sepoltura. La luce del giorno scopre una terra brulla, dei visi segnati (le facce incredibili che hanno questi attori), un cadavere sotterrato. L’ibrido felicissimo tra l'occhio orientale (i critici hanno citato Čechov e Dostoevskij) e la realtà fisica, quanto più meridionale e mediterranea possibile, è la cifra del film. E l’ibrido è sempre al lavoro, impedendo l’estetizzazione dello sguardo, riportando sempre sulla terra ogni tentativo di volo metafisico, mantenendo un equilibrio tra la poesia e la realtà, tra un estetismo simbolista (la scena quasi Stalkeriana della mela che cade dall’albero e rotola nel ruscello) e un verismo iperrealista (la scena stupenda dell’autopsia). L’ironia diventa spesso vera e propria comicità, come quando fa cozzare la lingua procedurale della giustizia contro la povertà del reale, l’assurdità della burocrazia incarnata dal sergente dei Gendarmi (Siamo a Frittole-di-sopra o a Frittole-di-sotto?), con la scarsità dei mezzi materiali. Una comicità quasi sciasciana e surreale (e questa Anatolia è davvero una Sicilia – un Meridione tutto – Unheimlich: Franz mi ha ricordato, giustamente, anche Camilleri) che emerge in molte scene come quella, bellissima, della riesumazione: la battuta su Clark Gable, il sacco per il cadavere, il problema di come trasportare il corpo, l’autista che raccoglie i meloni.
Trovato il cadavere, la comitiva rientra a Keskin, dove ritrova le vedove e gli orfani, i figli malati e le vite di prima. Il film si chiude sul rapporto a due tra il procuratore e il medico legale, invischiati in una sorta di indagine su un passato oscuro iniziata la notte prima e che coinvolge sempre di più i due funzionari, fino alla consapevolezza, inevitabile e struggente, dell'accaduto.
Fotografia meravigliosa, musica assente o quasi (ma il film è sensualissimo, pieno di suoni e - quasi - di odori), C’era una volta in Anatolia, di Nuri Bilge Ceylan è un grosso film, come non ne vedevo dai tempi di There Will Be Blood.
Un film Umano, troppo umano.
2 commenti:
Tra le cose più belle del 2011, anno ricchissimo di ottimi film.
Straordinariamente poetico e magnetico, da vedere assolutamente sul grande schermo per la bellezza delle scene notturne.
Per me è il film dell'anno, senza dubbio alcuno!
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