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9 gennaio 2013

2013 - L'anno del cardo mariano


Una sera tra Natale e capodanno, sdraiato in poltrona davanti alla tv, sonnecchiavo appesantito dagli eccessi della tavola quand’ecco che da un’emittente locale salta fuori un simpatico signore che, passeggiando tra i campi con delle foglie verdi in mano, inizia a puntare un dito accusatorio.

 - Voi non sapete mangiare. In questo periodo festivo poi, non ne parliamo. Mangiate troppi grassi animali, bevete troppo alcool e così fate del male al vostro fegato. Steatosi epatica, si chiama, ovvero sindrome del fegato grasso. Il fegato si affatica anche perché sbagliate la dieta: bisognerebbe fare una colazione da re, un pranzo da principi e una cena da pezzenti, perché il fegato pure lui ha diritto di riposarsi e di dormire in pace. Voi, invece, proprio la sera spesso lo caricate con grassi animali, alcool, caffè e magari sigarette.

Il campestre ometto, che una sovrimpressione ci indica come «nutrizionista dell’Università di Firenze», non si limita tuttavia a frustarci, imponendoci un penitenziagite alimentare, ma ha anche una soluzione.

- Per gli incontinenti, per quelli che proprio non riescono a prevenire lo stato patologico con un corretto stile di vita, la natura ha tuttavia fornito un rimedio: il cardo mariano, che possiede un principio attivo toccasana per il fegato.

A questo punto, mostra soddisfatto un cespuglio di foglie verdi appuntite e blatera di qualcosa di cui ricordo solo la frase «le lacrime di Maria».

 - E dunque mangiate cardi mariani, cardoni, cardini e pure carciofi ma non buttate le foglie esterne, che lì è concentrato di più la cosa-che-fa-bene-al-fegato, ma fatene un decotto e poi mangiate anche il gambo, che pure quello fa bene che più bene non si può. Il vostro fegato vi ringrazierà. 

Il giorno dopo ho raccontato tutto ciò a un carissimo amico - il quale si intende molto bene di fegati, infatti stava apprestandosi a macellare un maiale - che mi ha detto:

- Interessante. Vuol dire che quest’anno sarà l’anno del Cardo Mariano. 

PS: A proposito di fegato, ho ricevuto in regalo l’omonima opera terza di Ico Gattai, impreziosita da dedica autografa dell’autore per la quale qui lo ringrazio indirettamente. 

Vi direi di comprarlo ma pare che sia tutto esaurito. Forse fate in tempo per la ristampa.

Un buon 2013 a voi e al vostro fegato.

12 marzo 2012

Siamo mangiatari

Ed eccoci di ritorno da un altro lungo weekend familiare durante il quale abbiamo mangiato come non mai. Sarà l'età, sarà l'abitudine alle porzioni francesi («le francesi non ingrassano»), ma è sempre più difficile mantenere i ritmi pranzo/cena ai quali si era abituati anni addietro.

Allora basterebbe mangiare di meno, direte voi, declinare gentilmente l'invito al pasto preparato con tanto amore. Il punto è che non si può. E non soltanto per il rapporto che lega chi prepara il cibo e il commensale, ma perché proprio non si può dire di no davanti ad un'insalatina di baccalà con pomodori e cipolline, uno spezzatino di agnello con rape saltate, due pomodorini secchi, due melanzane sott'olio, una fettina di caciocavallo, un bigné alla crema, due amaretti di sassello, un cuneese al rum, un carpaccio di manzo di pozza della garfagnana, due salsiccine di cinta senese alla griglia con verdurine di stagione, una focaccia con cecina, un carpaccio di tonno all'arancia, pinoli e uvetta, un carpaccio di pesce spada al limone e pomodorini secchi, un carpaccio di baccalà ai capperi e prezzemolo, due tartine al burro con le uova di lompo, due spaghetti al ragù di cozze e vongole, qualche trancio di calamaro ripieno e piselli, una fetta di torta mimosa, un'altra focaccia con cecina, due pomodorini secchi, due melanzane sott'olio (gli esperti avranno subito riconosciuto le due cene di magro), un po' di gamberoni gratinati al forno, due polpettine di baccalà, un trancio di baccalà al pomodoro, un piattino di insalatina (per rinfrescare), e poi ancora un pezzo di caciocavallo, due o tre bigné, due fette di arrosto di maiale, un po' di trevisano al forno, un amaretto di sassello, altri due bigné, un cuneese al rum, il tutto annaffiato da svariate bottiglie di vino bianco e rosso, liquore d'arancia fatto in casa, caffé.

La verità è che siamo «mangiatari», come afferma l'esimio Peppe Cavallari nel terzo episodio del suo Popone agostano: «Le nostre mangiate, somigliano a prove cardiologiche sotto sforzo: da un momento all'altro ti può capitare 'u capustoticu, il malore improvviso, subitaneo, il fulmine a ciel sereno. Ma senza esitare si rischia, si rischia comunque la prova mortale, la prova finale. Insomma: si mangia».

22 febbraio 2012

A Bozen's weekend.


Ed eccoci di ritorno da un lungo weekend di nipotini e abbuffate gastronomiche bilingui. Nel solo bagaglio di stiva da 20+ chili c'erano, tra le altre cose, due buste enormi di pane raffermo (Semmelbrot dei Franziskaner, per la precisione, ché la baguette, ça sert à rien!) tagliato a cubetti e un chiletto di speck. I più svegli tra voi avranno già capito a cosa servono questi due ingredienti. 
Prenotatevi in tempo: non ce ne sarà per tutti.

14 settembre 2011

Mutande a Venezia

... le calli intorno a Via Garibaldi sono spettacolari parate di lenzuola, gran pavesi di mutande, festoni di calzini stesi da una facciata all'altra delle case, a volte sulla diagonale dei campielli, su fili della biancheria lunghi decine di metri. 
(Tiziano Scarpa, Venezia è un pesce)

Quello che mi manca di più dell'Italia qui a Parigi non è il caffè ma i panni stesi alle finestre e ai balconi. Un piccolo dettaglio, un po' stupido se volete, ma che restituisce un modo di vivere l'intimità ripiegato su se stesso, molto individualista e privato, fortemente accentuato dalla SGM (Spersonalizzazione da Grande Metropoli). La norma sociale è diventata legale: è infatti formalmente vietato, nei condomini, appendere i panni alle finestre e ai balconi, come mi ha cortesemente ricordato quella volta la mia padrona di casa (peraltro gentilissima e disponibilissima) quando appesi al balcone uno straccettino di 50x30 centimetri con cui avevo lavato a terra.

Oddio, anche un buon spriz fatto come si deve non è che guasterebbe...

Un sprisse à Venise

(e già, le vacanze son finite).

6 settembre 2011

3 agosto 2011

Hai voluto vedere Honfleur


T'as voulu voir Honfleur
Et on a vu Honfleur
T'as voulu voir Hambourg
Et on a vu Hambourg
J'ai voulu voir Anvers
Et on a revu Hambourg
J'ai voulu voir ta sœur
Et on a vu ta mère
Comme toujours

18 luglio 2011

'U bastardùni

A Palizzi Marina (RC) c'è una pizzeria-ristorante che si chiama Zorba, ma tutti la conoscono con il nome del proprietario, Siso. Da Siso ci siamo arrivati prendendo una delle tante strade parallele che salgono su per la cresta del monte - caratteristica comune a tanti paesini di questa parte di costa calabra - seguendo una segnalazione di gente del posto, ma in verità con poca convinzione, poiché i giudizi erano tutt'altro che unanimi:
- Se volete mangiare pesce è meglio un altro ristorante, a Brancaleone: quello è un vero ristorante, il pesce lo cucina bene.
- No, andate da Siso, che il pesce lo pesca lui.
- Sì, ma bisogna vedere se ce l'ha. Se non ce l'ha vi tocca una pizza...
- Ce l'ha, ce l'ha: andate tranquilli che ce l'ha.
Davanti al ristorante ci accoglie un'insegna al neon anni '80, piuttosto imponente, con lettere quadratone verticali a formare la parola PIZZERIA. I tavoli sono disposti su una terrazza tutto sommato charmante, con vista sui tetti e, in lontananza, il mare: dalla cucina proviene un odore di fritto piuttosto intenso. Speriamo nel pesce e ci sediamo. La cameriera russa che ci riceve (scopriremo poi che è la moglie del fratello di Siso, che officia come pizzaiolo. Siso ha invece sposato un'inglese: famiglia decisamente esterofila) è gentile, e quando le chiediamo che pesce fresco c'è va un attimo in cucina a chiamare i due fratelli. A quel punto ci giochiamo il classico «ci manda tizio», che non si sa mai se funziona ma uno ci prova sempre. I fratelli paiono sorridere benevolmente e ci propongono una fritturina di alici fresche e un pesce porco (chiamato anche Balestra) al forno, pescato la mattina proprio da Siso. Accettiamo intrigati, mentre Siso ci fa una lezioncina aneddotica e simpatica su questo pesce che non abbiamo mai assaggiato. Arrivano le alici, buonissime e freschissime. Poi Siso ci propone di prendere una pepatina di cozze, poiché il pesce è ancora in forno e ci vuole un po'. Mangiando la pepata, Francesca si accorge che il limone che accompagna le cozze è un po' strano: ha il bianco esageratamente spesso e al gusto non è affatto aspro, anzi. Siso ci dice che questo limone, che viene chiamato 'u bastardùni, cresce tutto l'anno ed è tipico della zona. Visto l'apprezzamento di Francesca, ci porta un altro piattino con il limone affettato e, alla fine, anche un limone intero da portare via.


E così oggi sbuccerò finemente questo bastarduni gigante importato in terra francica e lo lascerò macerare 40 giorni nell'alcool (anche questo comprato in Italia, che qui costa tanto ed è praticamente introvabile) insieme alle bucce dei due limoni un po' verdi presi alla biocoop. Poi, acqua, zucchero, e per settembre è pronto il limoncello. Con il bianco e la polpa che restano, invece, proverò a fare quest'insalata di «limone di pane» (che è il nome con cui è conosciuto a Ischia e dintorni), anche se non ho il vino cotto.

PS: il pesce porco era delizioso. Prima di offrirci due bicchieri di bergamino, Siso è arrivato al nostro tavolo dicendo: «ah, mi ero scordato: oggi mi è rimasto attaccato al palamito uno spadino di 6-7 chili: lo volete assaggiare?». Io ero anche abbastanza pieno ma Francesca ha insistito e meno male, perché lo spadino si squagliava in bocca. Il tutto per un totale di 55 euro, con un'insalata, una bottiglia d'acqua e un litro di bianco della casa onesto (anche se un po' caldo).
Poteva francamente andarci peggio.

15 settembre 2010

Die deutschen Rundballen

Ich erinnere mich an die Telefonzellen
den Rundballen, die Salinen, die Deponien.
(Jan Fabreich, Rundballen)


Bisognerebbe prendersi del tempo per descriverlo bene, l'estremo limite settentrionale della Baviera, questa terra di contadini opulenti, irta di crocefissi e calvarî, dove si festeggia con un vernissage la ristrutturazione della locale filiale di una banca [1]. La Franconia - terra d'origine dei nobili francesi secondo l'Abate Sieyès [2] - è già un poco Turingia ma, anziché ibridare, la vicinanza stimola il ripiegamento identitario sul Gott, Heimat und Familie, poiché con questo confine, fino a pochi anni or sono, non si scherzava mica: dall'altra parte mangiavano i bambini.
Lasciando da parte l'ambito storico-politico, per il momento mi soffermerò su un particolare più leggero che mi ha colpito durante il mio soggiorno in Unterfranken, ovverosia la musica che trasmettono in radio, una musica che non saprei bene come definire: classica? Vintage? Rétro? Con un paragone soggettivo e personale, potrei dire che è musica di 25 anni fa. Più precisamente, è in pratica la stessa musica che io ascoltavo 25 anni fa quando la sera tardi, già a letto, sintonizzavo il mio stereo su Radio N Lamezia [3], sulle cui frequenze passava un nastro preregistrato con gli stessi pezzi che Antenne Bayern ha mandato continuamente in onda nell'estate del 2010: Cocaine, Sweet Home Alabama, Whatever You Want, Eye Of The Tiger, Jump, Dust in The Wind, Hotel California [4]...

Certo, c'era anche Lady Gaga e Waka Waka, ma si sentiva benissimo che erano dei riempitivi, messi là giusto perché bisognava pagare dazio alle novità. L'ossatura del programma, lo zoccolo duro era questa specie di AOR From Outer Space (and Outer Time) che mi ha fatto l'effetto di un vero e proprio unheimlich musicale.

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[1] Per la descrizione di questo evento ci sarebbe bisogno di una penna non meno che flaubertiana.[↩]
[2] Che suggeriva, per inciso, di rispedirveli tutti nelle sue foreste, per epurare la nazione francese e nobilitare il Terzo Stato di origini invece (sempre secondo lui) Gallo-Romane. Il Buon Sieyès inaugurava così una tanto sciagurata quanto fortunata lettura della Weltgeschichte.[↩]
[3] Non c'è bisogno di aggiungere che la roba che Radio N Lamezia trasmetteva era già allora vintage.[↩]
[4] A dire il vero, per una sovrapposizione precisa alla compilation notturna di Radio N Lamezia mancavano pezzi maestri quali The Year Of The Cat, The Logical Song, A Horse With No Name, Tunnel Of Love (ma sui Dire Straits Antenne Bayern si riscattava con la più "recente" Money For Nothing) e l'immancabile Don't You, che a me, allora, piaceva da matti.[↩]

30 aprile 2010

Hai voluto vedere Madrid...

Barajas, T4

Calle de Fuencarral

Gran Via

Sin título

La stazione di Atocha dal Museo Reina Sofia


Calle de Espoz y Mina

Plaza de La Puerta del Sol

Una piccola sorpresa da questo primo viaggio in terra iberica: i francesi non sono i soli ad essere posseduti dalla sacra furia traduttiva. Il quadro più bello del Prado, ad esempio, l'ha dipinto El Bosco. Per non parlare del magnifico autoritratto di Alberto Durero, conservato nello stesso museo. Non siete ancora convinti? Allora mangiatevi un perrito caliente. Buon appetito!

16 marzo 2010

Considera l'aringa

Ottanta aringhe. Non la crederanno mai, caro signore.
(Ernest Renan, BnF, NAF 14197, f. 256)

Giace lì, in fondo al frigo. Non posso buttarla, mi piange il cuore. Ma non ho più il coraggio di mangiarla. Fortuna che ho preso quella con l'affumicatura dolce. L'ho anche marinata, con amore, secondo ricetta tradizionale: olio, limone, cipolla, aglio e qualche grano di pepe (già che c'ero potevo metterci un peperone, per aggiungere un tocco di freschezza).
Non fraintendetemi: io adoro le aringhe. Io adoro tutto ciò che è pesce affumicato e affini: il salmone, l'aringa, il tonno, il pesce spada, l'haddock, il fegato di merluzzo, le uova di lompo, le uova di salmone, le uova di trota, la bottarga, la tarama. E l'aringa che giace in fondo al frigo è riuscita deliziosa, morbida e profumata. Ma ha un grosso difetto: si ripropone. E non c'è verso di buttarla giù. Tu cammini per strada, e lei torna su. Scendi in métro, e lei sale su. Vai in piscina, e lei fa i carpiati dentro di te. Ho provato anche con la Magnesia Bellagamba, gentilmente offerta dall'amico Crapula, ma niente. La Magnesia Bellagamba, sì. È come la Sanpellegrino, solo che la fanno a Roccafelina (EN) ed è la preferita di Nitto Santapaola. Che se davano retta a quel politico e regalizzavano la mafia, immaginatevi il marketing: «Magnesia Bellagamba. Fornitori della Real Cosca dei Santapaola dal 1952». Oppure: «Caponata Mussomeli: Su mandato di S.A.R. Leoluca Bagarella, Principe di Corleone. Qualità e tradizione dal 1946». Come il Twinings. Altro che sostegno del Made in Italy. Ma vabbé, torniamo al pesce. La colpa è tutta mia. L'ho vista in offerta e non ho saputo resistere.
Era dallo scorso autunno che avevo voglia di aringhe. Ne ho mangiata una fantastica a Yport, in Normandia: mai mangiata un'aringa così buona. Ho chiesto all'oste e lui mi ha detto: «Eh, ma questa è fresca! Ora è il periodo, poi si affumica tutto e si conserva». Il giorno dopo, a Fécamp, ho visto il manifesto della Sagra dell'Aringa. La "più grande fiera mondiale delle aringhe" si sarebbe tenuta da lì a una settimana. Tornato a Parigi chiamo subito mio cugino per proporgli il viaggio:
- Dai, pensa che roba: aringhe freschissime a strafottere a due lire al chilo, i cori dei marinai normanni, stages di affumicatura, la corsa nel barile. Non vorrai mica perderti un evento del genere. Dai che poi ci scriviamo pure un articolo divertente, in stile David Foster Wallace, magari qualcuno abbocca pure e ce lo pubblica.
Lui ha tentennato un po', prima di chiedermi:  «ma dici sul serio?». Per un attimo ci ha creduto. Poi è passato subito all'accampamento delle scuse: «ma in treno? Come si fa? E poi torniamo in serata? No, no: non ce la posso fare». Io ci sono rimasto un po' male. Mica per il rifiuto. È stato lo spiraglio di possibilità, quell'apertura di un istante che mi ha precipitato davanti ad un molo, due sacchetti di plastica enormi in mano pieni di aringhe puzzolenti, maglietta a strisce e cappellino da marinaio con pompon rosso, piuttosto alticcio, in mezzo alle danze tipiche normanne. Con la prospettiva di rientrare sano e salvo a casa e preparare cinque chili di aringhe marinate, buone come quella di Yport, e mangiarne per una settimana.
Ecco quello che succede quando si gioca coi sentimenti.

7 gennaio 2010

Cose che si imparano viaggiando in aereo

1) Che io sappia, solo gli italiani si accalcano in un ammasso informe e ansioso davanti al gate d'imbarco, nonostante gli inviti a restare seduti finché non viene chiamato il proprio gruppo. Uno dice: "lo fanno per prendere il posto migliore". Ma ho visto le stesse scene, giuro, anche nel caso dei posti prenotati. Misteri della Fede.
2) Non ci sono più le hostess di una volta. Non che io ne abbia mai incontrate dal vivo, ma l'idea quasi trascendentale della hostess, protetta dalla pisanissima Santa Bona, non corrisponde più alla realtà. E' quello che pensi ogni volta che incroci lo sguardo di quel leone marino che va su e giù per il corridoio.
3) L'aereo è l'autobus del Terzo Millennio. E negli autobus, tutti i bambini, per essenza, fanno un casino inenarrabile. Mi astengo qui da considerazioni malthusiane: noto soltanto en passant che i bambini cinesi, nei luoghi pubblici, piangono molto ma molto meno degli altri bambini.
4) Come corollario del punto precedente, la cosa davvero indispensabile per viaggiare in aereo sono un paio di tappi per le orecchie o, ancora meglio, delle cuffie intrauricolari. Specie se avete scelto la compagnia superlowcost che vi bombarda di pubblicità fastidiosissime e insistenti per tutto il viaggio.
A questo punto vi sentite stanchi, nervosi e stressati. Aprite il dépliant del cibo servito in volo e arriva l'illuminazione: non avete più dubbi, vi fate un cappio.

Fatti un Cappio.
Cappio: il cappuccino che ti tira su.


14 settembre 2009

haivolutovederelondra

C'è la crisi, ma lo humour inglese resiste (Praed St., Paddington)
- Dov'è andato a finire il dannato bancomat?
- E' andato a puttane con l'economia.


Per favore, vai a pisciare da un'altra parte (Electric Avenue, Brixton)

Venti Pesca (Portobello Road)