6 novembre 2013

Il paradiso degli orchi di Pennac al cinema

Prima o poi doveva accadere: il romanzo di Daniel Pennac Au bonheur des ogres (Il paradiso degli orchi), primo volume della fortunata Saga Malaussène, è diventato un film.

Se non avete letto il libro, assisterete a una commedia romantica, anodina, a tratti divertente, recitata in maniera mediocre (tranne il protagonista: lui è bravino e si vede), che si svolge sullo sfondo di una trama poliziesca abbastanza confusa e piuttosto incomprensibile. 

Se avete letto il libro, il vostro giudizio sarà allora inevitabilmente più critico. Piccola premessa: pur non essendo un fan di Daniel Pennac, devo riconoscere che Au bonheur des ogres è un polar divertente, scritto con piglio ironico e inventivo, illuminato da una galleria di personaggi molto riusciti a cominciare dal suo protagonista, il famigerato Benjamin Malaussène di professione capro espiatorio. L'adattamento per il grande schermo si è svolto all’insegna di una brutale semplificazione della materia letteraria. I personaggi sono stati appiattiti, svuotati di qualsiasi interesse e ridotti a pure macchiette. Stojil, il guardiano notturno serbo (interpretato da un Emir Kusturica che si limita a ripetere le battute), non ha neanche un briciolo dello spessore che gli aveva dato Pennac; Tante Julia ha il sex-appeal di una pompa di benzina (e non è affatto colpa di Bérénice Bejo); il commissario Coudrier, fine funzionario bonapartista, diventa una comparsa qualsiasi.

Ma non sono solo i personaggi a soffrire l’adattamento; tutta la satira graffiante verso le «convenzioni borghesi» viene disinnescata. Scordatevi il rapporto d’amore di Malaussène nei confronti della sorella Clara, la sua preferita, rapporto che Pennac tiene sempre su un filo sottile («Tu as vraiment le sens de la famille chevillé à l’âme, Benjamin ; tu es amoureux de ta petite sœur Clara depuis sa naissance, mais comme ta morale t’interdit l’inceste, tu fais l’amour avec une autre que tu appelles ta tante.»), anzi, scordatevi proprio Clara: nel film, semplicemente, non c’è! Come non c’è il migliore amico di Malaussène, Théo, l’impiegato gay con le sue giacche dai colori impossibili (e dunque, niente scena surreale dei travestiti brasiliani che irrompono nella stanza da letto). Sparito Théo, sparito anche il suo esercito di vecchietti che scorrazzavano nel Grande Magazzino (una delle invenzioni più azzeccate del romanzo). E a questo punto sorge spontanea la domanda: ma allora, senza Clara, senza Théo, senza vecchietti, tutta la sottotrama poliziesca che fine fa? Per farla breve, diciamo che la storia viene riarrangiata alla meno peggio, attorno alla figura del padre di Sainclair, che diventa il capo degli Orchi.

Dello spirito polar del romanzo di Pennac – uscito nel 1985 per la Série Noire di Gallimard – non rimane insomma davvero nulla. Gli sceneggiatori hanno limato tutte le asperità, censurato tutto quello che poteva risultare scandaloso (!) o sconveniente (!!), trasformando il racconto in una simpatica e un po’ bizzarra storiellina d’amore, girata con stile televisivo, buona da far vedere ai bambini a natale: perfino Julius, il cane che «puzza come una discarica» la cui lingua sa di «pesce rancido e sperma di tigre», appare sullo schermo pulito e bellino.

PS. Mi ha detto mio cugino: «Certo pure tu che ti vai a vedere ‘ste robe. Che t’aspettavi?».
In effetti, da quando ho la carta illimité sono diventato molto meno selettivo.

22 ottobre 2013

Pasolini nel metrò

Dal 16 ottobre al 26 gennaio, la Cinémathèque française dedica una grande mostra a Pier Paolo Pasolini e a Roma. 
La RATP partecipa ribattezzando due stazioni: Place d'Italie diventa Piazza d'Italia e Rome, Roma
Le pubblicità lasciano il posto a manifesti di foto di scena.




3 ottobre 2013

The Broken Circle Breakdown (aka Alabama Monroe)


Mi avessero detto “andiamo a vedere un film su una bambina di 7 anni malata di cancro”, avrei risposto tranquillamente: vaffanculo, ci vai tu a vedere un film su una bambina di sette anni malata di cancro. Perché semplicemente non ho voglia, perché si sa già come va a finire, perché è un soggetto difficile, complicato, dal quale nove volte su dieci viene fuori un pastone disonesto e indigeribile. 
Ma l’avviso fu più subdolo e meno spoileroso: “è molto bello, però portati i fazzoletti che si piange”. Dunque ci sono andato solo moderatamente prevenuto, anche perché il precedente film di Felix Van Groeningen, La merditude des choses (De helaasheid der dingen), mi era piaciuto e parecchio. 
E alla fine ho fatto bene: in The Broken Circle Breadown il regista maneggia la storia con una delicatezza sorprendente, lontano da qualsiasi voyeurismo e da facili didascalismi (grazie anche al montaggio in flashback che smorza da subito lo scontato climax verso la catastrofe). 
Ne è venuto fuori un film forte, doloroso ma a tratti anche divertente, dove l’ironia grottesca e assurda, molto “belga”, della merditude des choses riaffiorava di tanto in tanto. 
Una coppia di attori fantastici (parentesi: gli attori belgi sono bravissimi, gli attori danesi sono bravissimi, gli attori iraniani sono bravissimi, gli attori italiani sono ormai dei cani e delle cagne senza remissione possibile. Ho visto al cinema il trailer di Miele proprio prima di questo film: il paradigma è ormai Nico di Un posto al sole) e una colonna sonora molto bella (astenersi non amanti del bluegrass), riscattano ampiamente qualche lungaggine e pesantezza, specialmente verso il finale.

16 settembre 2013

Distopie / 1

La disintegrazione del sistema socio-economico fu lenta, progressiva e profonda e arrivò a un punto tale che gli uomini non credettero più nell’esattezza delle leggi della natura. Niente più sembrava stabile o fisso; l’universo era un flusso che scorreva via. Nessuno sapeva cosa sarebbe venuto dopo, nessuno poteva contare più su nulla. Le previsioni statistiche divennero popolari e il concetto stesso del rapporto di causa ed effetto sparì dal pensiero umano. Gli uomini cessarono di credere di poter controllare il loro ambiente; non rimaneva che una sequenza di probabilità: avere delle buone chance, in un universo abbandonato alla fortuna e al caso.
(Philip K. Dick, Solar Lottery, 1955)


Ho ricominciato da un po’ a leggere fantascienza: avevo quasi dimenticato che, a volte, riesce a descrivere il presente in modo più lucido di qualsiasi altro genere narrativo.

29 agosto 2013

Tattoo you

Sì, si pronuncia uguale, ma in italiano si scrive «che» e non «que».
Certo, adesso che te lo sei tatuato sulla schiena sarà difficile correggerlo.