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1 maggio 2012

United we stand, divided we fall


Say hey Johnny boy, the battle call. 
United we stand, divided we fall. 
Together we are what we can't be alone, 
We came to this country, you made it our home. 
This man so humble, this man so brave.
A legend to many, he fought to his grave. 
Saved family and friends from the hardship and horror,
in a land of depression he gave hope for tomorrow. 
Say Johnny me boy, this ones for you. 
With the strength of many and the courage of few. 
To what do we owe this man who's fight 
was for the masses, he gave his life.


Buon Primo Maggio.

27 marzo 2012

Dopo lunghe lotte sindacali


Memoria storica su un pacchetto di Antico Toscano, edizione speciale per il 150° anniversario dell'unità d'Italia.

8 settembre 2011

Non tutti i pubblicitari hanno la fortuna di aver avuto i genitori comunisti


Il Bazar de l'Hotel de Ville celebra la rentrée con la lotta di classe. A scherzare col fuoco, di questi tempi, ci vuole un bel coraggio.

19 ottobre 2010

Jaques Prévert, Citroën


Sulla porta delle case chiuse
Brilla una piccola luce
Qualcosa di fievole, di discreto
Una piccola lanterna, un lumicino
Ma su Parigi addormentata
Una gran luce si diffonde
Una gran luce monta sulla torre
Una luce cruda
E' la lanterna del bordello capitalista
Con il nome del tenutario
che brilla nella notte
Citroën, Citroën!
E' il nome di un piccolo uomo
Un piccolo uomo con delle cifre in testa
Un piccolo uomo con uno sguardo strano
Dietro il suo monocolo
Un piccolo uomo che sa una sola canzone
Sempre la stessa
Utili netti
Una canzone con cifre che danzano
300 macchine, 600 macchine al giorno
Monopattini, roulottes, spedizioni, autocingolati, camion
Utili netti
Milioni, milioni, milioni, milioni
CitroënCitroën
Anche in sogno si sente il suo nome
500, 600, 700 macchine
800 autotreni, 800 carri armati al giorno
200 carri funebri al giorno
200 carri funebri
E di corsa!
Lui sorride, continua la sua canzone
Non ascolta la voce degli uomini che fabbricano
Non ascolta la voce degli operai
Se ne fotte degli operai
Un operaio è come una gomma vecchia
Quando una si crepa, non la si sente nemmeno crepare
Citroën non ascolta, Citroën non capisce
E' duro d'orecchi quando si tratta di operai
Però al Casinò la sente bene la voce del croupier
Un milione, signor Citroën, un milione
Se vince, tanto meglio, ha vinto
Ma se perde, non è lui che perde
Sono i suoi operai
Sono sempre quelli che fabbricano
Che, in fin dei conti, sono raggirati
Ed eccolo che passeggia a Deauville
Eccolo a Cannes, che esce dal Casinò
Eccolo a Nizza che fa il bello
Sulla Promenade des Anglais, con una giacca chiara
Bel tempo, oggi! 

Eccolo che passeggia, che prende un po' d'aria
Anche a Parigi prende l'aria
Prende l'aria degli operai, prende loro l'aria, il tempo, la vita
E quando ce n'è uno che sputa i polmoni in fabbrica
I polmoni rovinati dalla sabbia e dagli acidi
Gli rifiuta una bottiglia di latte
Che cosa glie ne può fottere di una bottiglia di latte?
Non è mica lattaio lui, lui è Citroën
Ha il suo nome sulla torre
Ha colonnelli ai suoi ordini
Colonnelli scribacchini, aguzzini, spioni
I giornalisti
 mangiano dalla sua mano
Il prefetto striscia sul suo zerbino
Limoni, limoni
Utili netti, milioni, milioni
Oh, se la cifra d'affari cala
Perché gli utili non diminuiscano
Basta aumentare il ritmo e abbassare i salari
Abbassare i salari
Ma coloro che sono stati per troppo tempo
Tosati come cagnolini
Hanno ancora una mascella da lupo
Per mordere, per difendersi

Per attaccare
Per fare sciopero
Lo sciopero

Lo sciopero

Viva lo sciopero!


(Jacques Prévert, Citroën)

L'originale qui: http://laflaneuse.org/la-greve/

30 dicembre 2007

E sette: così non ci si pensa più










http://www.unita.it/view.asp?IDcontent=71746

"L’aspiratore nuovo, i gas di accumulo, i fuochi alla discenderia 32 – come se i fuochi non ci fossero sempre, in un banco di lignite. Stavolta era stufo: meno storie, disse ai capisquadra, mandate cinque uomini della squadra antincendi a spegnere i fuochi, ma intanto sotto anche la prima gita. La mattina del giorno dopo, alle sette, la miniera esplose.
Rimasi quattro giorni nella piana sotto Montemassi, dallo scoppio fino ai funerali, e li vidi tirare su quarantatré morti, tanti fagotti dentro una coperta militare. Li portavano all’autorimessa per ricomporli e incassarli, mentre il procuratore della repubblica accertava che fossero morti davvero, in caso di contestazione, poi, da parte della sede centrale. Alla sala del cinema, ora per ora, cresceva la fila delle bare sotto il palcoscenico, ciascuna con sopra l’elmetto di materia plastica, e in fondo le bandiere rosse. Venivano a vederli da tutte le parti d’Italia, giornalisti con la camicia a scacchi, il berrettino e la pipetta, critici d’arte, sindacalisti, monsignor vescovo, un paio di ministri che però furono buttati fuori in malo modo.
Venne il povero Di Vittorio a raccomandare la calma e la moderazione. Non venne la celere e anche i carabinieri del servizio d’ordine si tennero accosto al cancello della direzione. Ai funerali ci saranno state cinquantamila persone, tutte in fila con le bandiere, le corone dei fiori, il vescovo con la mitra e il pastorale. E quando le bare furono sotto terra, alla spicciolata se ne andarono via tutti, col caldo e col polverone di tante macchine sugli sterrati. [...]

Ora appunto io venivo ogni giorno a guardare il torracchione di vetro e di cemento, chiedendomi a quale finestra, in quale stanza, in quale cassetto, potevano aver messo la pratica degli assegni assistenziali, dove la cartella personale di Femia, di Calabrò, di tutti e quarantatré i morti del quattro maggio. Chiedendomi dove in che cantone, in che angolo, inserire un tubo flessibile ma resistente per farci poi affluire il metano, tanto metano da saturare tutto il torracchione; metano miscelato con aria in proporzioni fra il sei e il sedici per cento. Tanto ce ne vuole perché diventi grisù, un miscuglio gassoso esplosivo se lo inneschi a contatto con qualsiasi sorgente di calore superiore ai seicento gradi centigradi.
La missione mia, di cui dicevo pocanzi, era questa: far saltare tutti e quattro i palazzi e, in ipotesi secondaria, occuparli, sbattere fuori le circa duemila persone che ci lavoravano, chine sul fatturato, sui disegni tecnici e sui testi delle umane relazioni, e poi tenerli a disposizione di altra gente.

(Luciano Bianciardi, La vita agra,1962)


Buon natale e buon anno.

20 dicembre 2007

E sei

Rosario Rodinò, 26 anni

http://www.unita.it/view.asp?IDcontent=71499

Non è facile trovare in rete la notizia. Su l'Unità.it è gia declassata a fondo pagina (il titolo è per il discorso di Veltroni a Milano... adesso è cambiato: la minaccia di Dini).
Su Repubblica.it è uscita ieri sera, ma dopo meno di 24 ore non se ne ritrova più traccia, neanche tra le brevissime.
Beh, l'abbiamo capito che sono morti questi poveri operai e che muoiono ancora, ma adesso basta: è Natale, bisogna preparare il cenone (le ricette di Vissani), decidere se per l'anno nuovo dobbiamo comprare il calendario sacro (le infermiere volontarie della crocerossa) o quello profano (The UK's Hottest Babies) o cattolicamente&italianamente, tutt'e due.
E poi lo sanno tutti che gli italiani preferiscono leggere del tizio a cui gli hanno "riattaccato un braccio staccato da un coccodrillo", di Dini che non voterà la fiducia, degli aumenti della benzina, del boom dell'"amore.it" (dalla rete all'altare), delle rughe di Hillary Clinton che dividono - mio Dio! - gli USA, di Cory, la nuova lolita del web che fa impazzire i giovani.

Ve lo meritate Alberto Sordi.

A perenne memoria:
http://www.cadutisullavoro.it