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16 novembre 2012

«Non siamo al Parlamento italiano»

Messieurs La Russa et Pannella, je vous en prie: nous ne sommes pas au Parlement italien, conduisez-vous correctement - et arrêtez de faire ces gestes, me comprenez-vous? 

Please, Mr La Russa and Mr Pannella: we are not in the Italian Parliament, please behave properly - and stop making those gestures, do you understand?

(Da una ricerca su Linguee.fr, dizionario e motore di ricerca di traduzioni)

15 giugno 2010

Reti Sociali Vs. Social Network

Les réseaux sociaux, perché i francesi "tradurrebbero pure loro madre", diceva in un post Suibhne. Per carità, verissimo. Ma continuando a ruminare sul comparatismo culturale, mi è venuto in mente che pure gli spagnoli (quelli del perrito caliente, per intenderci) utilizzano comunemente il termine Redes Sociales. E mi risulta che anche i tedeschi abbiano un Soziales Netzwerk. Al mondo, dunque (lasciando perdere lingue di cui non ho alcuna cognizione), 400 milioni di ispanofoni + 200 milioni scarsi di francofoni + 100 milioni e più di germanofoni, hanno tradotto il famigerato termine “social network”. Ma non noi in Italia. Vista da questa prospettiva, la “mania traduttiva” dei francesi (e degli spagnoli) si riflette in uno “snobismo del quartierino” del nostro Bel Paese, rovescio della medaglia di uno spaventoso provincialismo. A cosa serve, infatti, l'utilizzo a tutti i costi di un termine inglese (pronunciato all’italiana, poi) se non ad alimentare una vanagloria di “saperne più degli altri” nel campo più innovativo del momento? Snobismo condito da una punta di elitarismo: perché mai dovrei utilizzare un termine inglese per spiegare a mia mamma che cosa sono le “reti sociali”?
Poco tempo fa, ad un seminario all’Università di Pisa, un collega, prima del mio intervento, mi ha domandato: "Hai preparato l’End Out?". La prima cosa a cui ho pensato è stata: "madonna quanto sono ignorante!". A mente fredda, mi sono poi subito chiesto perché mai le care vecchie “fotocopie” (avevo capito alla fine, dai gesti, di cosa si trattasse) si dovessero chiamare oggi, in una università italiana - e per giunta in un dipartimento di filosofia - “Handout” (ho poi scoperto il termine “reale”, e qui si dovrebbe aprire una parentesi sui danni dei termini inglesi pronunciati a cazzo di cane). E non sono riuscito a trovare nessuna risposta valida.
Sarà senilità, ma sono sempre più convinto che non ci sia davvero nessun guadagno nell’abdicare totalmente e volontariamente alla ricchezza della propria lingua. 
Nei fatti, poi, restiamo sempre il paese del pliz visit Itali dell’arsciùar? e dell’haccipicchia.

30 marzo 2010

Lettere Persiane /2


Don't want to be an American idiot
One nation controlled by the media
Information age of hysteria
It's calling out to idiot America
Welcome to a new kind of tension
All across the alien nation
Where everything isn't meant to be okay
Television dreams of tomorrow
We're not the ones who're meant to follow
For that's enough to argue.

30 novembre 2009

I casi mortali si moltiplicarono e divenne evidente che si trattava di una vera epidemia

(dal Blog Vive le Feu! di Sebastien Fontenelle: http://www.politis.fr/Les-Cas-Mortels-Se-Multiplierent,8789.html)

No, amico, non scappare: non ti parlerò (affatto) dell'H1N1, ma di un altro virus: eccolo qui, ingradito un milione di volte:
Se ti chiami Raymond, René, Roger (o Brice), niente panico: sei probabilmente immune. Se invece hai un nome un po' sabbioso, tipo Ali, Hakim, Lamine, o Mohamed, non vorrei spaventarti, ma stai proprio in mezzo alla popolazione a rischio.

Giudica tu: il 17 giugno 2007, Lamine Dieng (25 anni) sale su un furgone della polizia.
Dopo un po', muore.

Altro caso: il 9 giugno 2009, Ali Ziri (69 anni) sale su un furgone della polizia.
Dopo un po', muore.

Altro caso: il 24 settembre 2009, Hakim Djelassi (31 anni) sale su un furgone della polizia.
Dopo un po', muore.

Altro caso: il 12 novembre 2009, Mohamed Boukrourou, 41 anni, sale su un furgone della polizia.
Dopo un po', muore.

Come avrai capito, questo virus, apparso all'indomani dell'elezione del nuovo capo dello Stato francese, contagia - fino ad ora - soltanto Neri e Arabi. (Un po' come se avesse ascoltato troppo qualche nostro pensatore mediatico). Ovviamente le autorità tendono a rassicurare, arrivando perfino a negare la sua pericolosità. Dopo ogni decesso, iniziano a spergiurare che la vittima era debole di cuore e cose del genere[1].

Ma nella vera vita, ci troviamo davanti ad un germe realmente patogeno: se ti chiami Mohamed, è ora di metterti a pregare che trovino rapidamente un vaccino, perché - statisticamente - hai molte più possibilità di venire infettato rispetto al tuo vicino alverniate DOC.
(Ma sii discreto, in ogni caso, quando preghi: ti ritrovi già un nome incredibilmente provocante, sarebbe spiacevole che ti denuncino anche come jihadista, ok?)

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[1] Nel caso di Mohamed Boukrourou, l'ultimo in ordine di tempo, le autorità hanno invocato dapprima «la combinazione di un'alterazione cardiovascolare e di uno stress acuto»: solo dopo l'autopsia si è scoperta una «compressione della cassa toracica» e soltanto in occasione della toilette mortuaria, i suoi parenti hanno notato che «aveva la guancia destra spaccata e abrasa, gli occhi tumefatti, l'arcata sopraccigliare destra infossata, un orecchio rovinato».

18 settembre 2008

29 maggio 2008

Biùtiful cauntri

L'altra sera, al cinema Arlequin, si è conclusa un'interessantissima rassegna dedicata all'Italietta e ai suoi malanni con la proiezione di questo doloroso documentario. Allo sfilare dei titoli di coda, una sala strazeppa di espatriati sconvolti e addolorati s'è gettata sul buffet: uno stomaco colpito da un pugno talmente forte ha certo bisogno d'esser seduta stante rimesso in ordine! Nel frattempo era cominciato il dibattito con gli autori... Ai pochi rimasti (per lo più francesi) hai voglia a spiegargli che è tutto vero, che Biùtiful cauntri non è un film, che chi racconta le proprie disgrazie e l'inverosimiglianza delle misure prese - ma soprattutto di quelle NON prese - non sono attori, bensì quel che resta degli abitanti (e delle loro famiglie, delle loro vite, del loro lavoro) di quella terra massacrata. Una terra un tempo rigogliosa e fertile, ora inesorabilmente distrutta. Ecco.
Fortunatamente il vero dibattito si è poi tenuto nella hall, tra un'ingorda babbiona e l'altra: non faccio in tempo a constatare come (deis gratia) non conosciamo nessuna di quelle facce che, voltandomi vittoriosa verso Arco con un meritato e sudatissimo bicchiere di orrido Montepulciano d'Abruzzo, me lo trovo a chiacchierare niente meno che col regista, Andrea D'Ambrosio. Sgomita sgomita, guadagnamo la forma di Parmigiano e all'allegra brigata s'aggiunge Peppe Ruggiero, coautore con D'Ambrosio ed Esmeralda Calabria. Tra una battuta ed una risata, è difficile scegliere tra incazzatura e rassegnazione (una disperata ma vitale rassegnazione di pasoliniana memoria)... Anche e soprattutto loro, gli autori, oscillano palesemente tra pessimismo cosmico e prurito alle mani. E anche a non voler guardare più in là del proprio naso, bastava un'occhiatina rapida alla fauna presente in sala, all'intellighenzia dell'italianità a Parigi... beh, che qualcuno m'aiuti a dire "AIUTO"!!!

[Il Viaggiatore nel Tempo] non vedeva, nella crescente ricchezza della civiltà, che un assurdo accumulare è inevitabilmente destinato, alla fine, a ricadere sui suoi creatori e a distruggerli. Se è così, non ci resta che vivere come se così non fosse.

(Herbert George Wells, La macchina del tempo, 1895)