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5 marzo 2013

Sofà degli Addamanera: un gioiellino pop

Franco Battiato incontra Ivan Graziani su fondo di rullate e schitarrate irresponsabili: un gioiellino pop che rasenta la perfezione e si presta ad infiniti ascolti. Sofà si trova nel secondo e (purtroppo) ultimo album dei siciliani Addamanera, Un uomo che si pensava quell'altro, prodotto nel 2011 da Trovarobato e scaricabile gratuitamente da qui: http://www.trovarobato.com/addamanera-netlabel/un-uomo-che-si-pensava-quellaltro.html.

Il resto dell'album vira verso il prog e troverà di sicuro i suoi estimatori (io resto un po' tiepido, ma è un mio problema col progressive). 
Notevole comunque La sorte del toro e premio «titolo più bello di sempre» per Il colore del cane che fugge.
Enjoy!

15 febbraio 2013

Nick Cave & The Bad Seeds, «Push The Sky Away», Le Trianon, 11/02/2013

Le Trianon stracolmo di gente

La signora Cave e figli in tribuna d'onore

«Sometimes, in your life, you reach a peak and after you drop slowly down. This is my peak.» (Jack The Ripper)
Il disco, presentato integralmente e nell'ordine dei brani («oggi non si usa: oggi predomina lo shuffle»), ad un primo ascolto sembra davvero notevole. Ritorna il predicatore-visionario di alcuni pezzi parlati, come la dylaniana Higgs Boson Blues (Hannah Montana does the African Savannah / As the simulated rainy season begins / She curses the queue at the Zulus / And moves on to Amazonia / And cries with the dolphins / Mama ate the pygmy / The pygmy ate the monkey / The monkey has a gift that he is sending back to you / Look here comes the missionary / With his smallpox and flu / He's saving them savages / With his Higgs Boson Blues / I'm driving my car down to Geneva).
Grandi classici nella seconda parte del concerto (From Her to Eternity, Red Right Hand, The Ship Song, Deanna, Your Funeral... My Trial, The Mercy Seat, Stagger Lee).
A 55 anni, Nick Cave salta ancora come un indemoniato (a un certo punto è scivolato a terra, è vero, ma si è ripreso subito con la grazia di un gatto sornione) e regge ampiamente 2 ore di concerto.
Menzione speciale alla ragazzina del coro con la maglietta Bazinga!

13 gennaio 2011

Sognare è urgente


La rivolta del popolo tunisino è arrivata ad un punto di non ritorno. Le manifestazioni sono quotidiane, in tutto il paese, come si può vedere in questo video a Kairouan, dove la piazza riesce a stento a contenere le persone. A Zaghouane, Mahdia, Monastir, il popolo è sceso in piazza a reclamare la fine della dittatura. Le manifestazioni hanno già raggiunto Djerba e i sobborghi di Tunisi. Il presidente Ben Ali, secondo alcune informazioni, avrebbe già "esfiltrato" le figlie e i rispettivi mariti a Montréal. Su Facebook e su Twitter, in questo momento sta girando la voce che lui stesso potrebbe lasciare il paese in serata.
Oscurata dai media tradizionali, la rivolta si riproduce, frammentata, nelle reti sociali (facebook, twitter, Youtube). La rivoluzione non passerà in TV, ma sarà filmata e messa su YouTube.
L'esercito, in qualche caso, si è schierato a fianco dei manifestanti, ma la polizia continua ad essere fedele al presidente e spara con proiettili veri sulla folla: i morti sono ormai più di cinquanta. Tra le vittime, un professore e ricercatore franco-tunisino, Hatem Bettahar, che insegnava all'Università di Compiègne. 

Di fronte ad una rivolta di tale dimensioni, il silenzio francese ed europeo è più che assordante. L'Europa -  governanti e intellettuali, politici e giornalisti/moralisti - si volta dall'altra parte, comprensibilmente imbarazzata del comportamento di uno dei suoi più brillanti cani da guardia contro «il pericolo islamista» e «l'invasione dei barbari» nel nostro ricco occidente. Pronta a difendere i diritti umani in Iran, in Venezuela e altrove (perfettamente in linea con la politica degli stati canaglia di George W. Bush che non sembra essere cambiata di un millimetro), la patria dell'illuminismo, la culla della civiltà dalle radici giudaico-cristiane, fa finta di non vedere che una cricca mafiosa regna da vent'anni sull'altra sponda del mediterraneo (qui un dossier sugli intrecci tra potere politico e potere economico), cricca il cui capo dà l'ordine di sparare impunemente sul proprio popolo.
«Al di là del saccheggio organizzato, della corruzione massiccia, dell’appropriazione mafiosa dei beni pubblici e della confisca di beni e proprietà private, il problema sono le scelte economiche orientate verso uno scatenato liberalismo capitalista, preoccupato quasi esclusivamente di soddisfare in modo servile la domanda europea (più dell’80% degli scambi commerciali della Tunisia sono con l’UE), fino a fare della Tunisia, sul piano turistico, una sorta di dépendance delle “case di riposo” europee, incomparabilmente più economiche e soleggiate.»
(Sidi-Bouzid – Tunisia: elogio di una rivolta già tradita o del diritto-dovere di resistere all'oppressione...e al tradimento, lungo ma interessantissimo testo di analisi e proposta politica e filosofica).
Il popolo tunisino, mentre continua a morire per strada, sta dando una lezione di civiltà, di democrazia, di dignità a tutti gli europei. Dagli interventi di studenti, giornalisti, membri della cosiddetta "società civile" pubblicati sul portale nawaat.org, emerge un'impressionante lucidità di analisi, una volontà insopprimibile di libertà, una capacità di organizzare la lotta e la protesta, una precisione sugli obiettivi da raggiungere.
«La Tunisia, la corruzione, le tangenti… abbiamo solo voglia di andarcene, a studiare in Francia, in Canada… Vogliamo abbandonare tutto. Siamo vigliacchi, e lo accettiamo. Lasciamo loro il paese. Andiamo in Francia, dimentichiamo un po’ la Tunisia. Torniamo per le vacanze. La Tunisia? Sono le spiaggie di Sousse e Hammamet, i locali notturni e i ristoranti. Questa è la tunisia, un gigante club med. E poi, Wikileaks rivela clamorosamente ciò che tutti mormoravano. E poi, un giovane si dà fuoco. E poi, 20 tunisini sono assassinati in un giorno. E per la prima volta, vediamo l’occasione di ribellarci, di vendicarci di questa famiglia reale che si è appropriata di tutto, di rovesciare l’ordine stabilito che ha accompagnato la nostra gioventù.Una gioventù educata, che non ne può più e che si appresta ad immolare tutti i simboli di questa antica Tunisia autocratica con una nuova rivoluzione, la rivoluzione del Gelsomino, quella vera.»
(Une jeunesse vécue sous l'ombre de Ben Ali)
Un popolo che è ancora capace di sognare, insomma, e di prendere in mano il proprio futuro:
«Siamo soli, isolati, in preda alla collera e all’inquietudine. Fronteggiamo un regime che si sta sbagliando di secolo e di paese.
Questa rivolta dei tunisini non può essere rivendicata da nessun partito politico, nessuna organizzazione, nessuna associazione. Nessuna figura dell’opposizione può rivendicarla o assumersene la paternità.
Questa rivolta viene dal popolo e al popolo appartiene. Questo popolo che alcuni immaginano arretrato sta dando una lezione alla sua classe politica e al mondo.
Le manipolazioni ideologiche non subentreranno ad una collera spontanea e popolare.
È compito dell’élite del nostro paese rispondere all’appello e immaginare l’avvenire. Noi dobbiamo costruire un nostro modello politico, economico, sociale e culturale. Noi dobbiamo mostrare al mondo che cos’è una democrazia araba.
È urgente sognare una Tunisia portatrice di speranza per tutti.
Due condizioni inderogabili per questo.
Bisogna riappropriarci del diritto alla parola, diritto al quale non avremmo mai dovuto rinunciare. Un diritto necessario perché scaturiscano le idee, fioriscano le intelligenze e si sposino tra loro per procreare il nostro futuro comune.
L’altra conditio sine qua non è la contrattualizzazione del rapporto tra i tunisini e le loro élites politiche: queste ultime devono essere al nostro servizio e non il contrario.

Perché i sacrifici non siano vani, è urgente sognare la Tunisia di domani.
Sogniamo.»

5 maggio 2010

Ricorrenze

Il posto dove fu colpito a morte è sul lungarno Gambacorti di Pisa, tra la via Toselli e la via Mazzini. Si lascia sulla sinistra, venendo dal ponte di Mezzo, il palazzo del Comune e si cammina lungo una ininterrotta serie di piccole botteghe che forse esistono da secoli e hanno mutato soltanto il genere dei loro minuti commerci. Una mescita di vino al numero 10, all’angolo di via delle Belle donne; un tappezziere al numero 13; un aggiustatore di macchine fotografiche al 14; la calzoleria “La rapida” al 16; l’agenzia Sbrana, compravendita e affitti, al 18; il circolo Enal al 19.
Alle spalle dell’isolato, via della Nunziatina, nell’intricato quartiere del sottoproletariato rosso. Di là dall’Arno, sotto i palazzi aristocratici e inaccessibili, lo scalo del carbone con la lapide che ricorda l’approdo della barca di Garibaldi ferito sull’Aspromonte.
Non lontano dal lungarno Gambacorti, tante volte citato nei rapporti dei commissari di pubblica sicurezza, nei verbali dei sostituti procuratori della Repubblica, nelle sentenze dei giudici istruttori, nelle cronache dei giornali e nelle relazioni dei periti medico-legali, splendono i gioielli dell’arte e della religione, Santa Maria della Spina, San Paolo a Ripa d’Arno e, a pochi passi, la chiesa di Santa Cristina dove, il 1° aprile 1375, santa Caterina da Siena ricevette le Sacre Stimmate, “cinque lucidissimi raggi sanguigni, usciti dal Santissimo crocifisso sull’altare e andati a ferire le mani di Caterina, i piedi, il suo castissimo e virgineo petto”.
Ma la sera del 5 maggio 1972, né la patrona d’Italia, né la presenza antica di bellezza e di arte, né i segni della storia e della cultura servirono a salvare dalla furia della polizia, tra la bottega del vinaio e quella del tappezziere, un giovane non alto, ricciuto, gli occhiali da miope, il viso serio e sofferto, vestito con una giacca marrone, un paio di pantaloni di lana nera, una camicia con le maniche lunghe dai disegni fantasia color giallo arancione. Franco Serantini, di vent’anni, sardo, anarchico, figlio di nessuno nella vita come nella morte. 
(Corrado Stajano, Il Sovversivo)

26 aprile 2010

La patria, ultimo rifugio dei conigli

- Cos'è per lei la patria?
- Mi spiace darti una risposta molto pacchiana. La mia unica patria sono i miei due figli, Lautaro e Alexandra. E forse, ma secondariamente, certi istanti, certe vie, certi visi o scene o libri che stanno dentro di me e che un giorno dimenticherò, che è la cosa migliore che si possa fare con la patria.


(Roberto Bolaño, Stella distante)


6 aprile 2010

En passant, Jean Fabry

Ué, cio', alòra, se non vuoi cadere a pezzi, stringi le viti di tanto in tanto!
Prima che il cameriere ti porti il conto
Prima che la risata diventi un pianto
Prima che  il tuo cervello si dia per vinto
Prima che per errore ti faccian santo
Stringi le viti di tanto in tanto.
(Jean Fabry, Stringi le viti di tanto in tanto)

I Jean Fabry colpiscono ancora: sul loro sito è disponibile l'Ep En passant, creatura nuova di zecca e freschissima, scaricabile - come al solito - gratuitamente (ma se lasciate un commento, la band russiana ve ne sarà grata) e "con tanto di copertina". In un solo clic guadagnerete una ventina di minuti di buona musica e di consigli stralunati e nonsense per la vostra vita. Che volete di più?
Di questo disco dedicato a Enzo Jannacci (con disegni originali di Galileo Galilei), la mia canzone preferita è Dove si nasconde il camaleonte?, una leggiadra filastrocca degna di Gianni Rodari, su un ritmo World Music alla Peter Gabriel (senza contare i cori della bravissima Sofia che mi hanno ricordato questo pezzo). Prima di levarmela dalla testa (se ce la faccio), la proporrò ai miei allievi di italiano, insieme a Cento, cento.

Alla genuina modestia del loro frontman (voce/chitarra), rispondo qui che la speranza, nel loro caso, non è mai mal riposta e che, almeno da queste parti, i Jean Fabry strappano molto più che un sorriso benevolo.

30 marzo 2010

Lettere Persiane /2


Don't want to be an American idiot
One nation controlled by the media
Information age of hysteria
It's calling out to idiot America
Welcome to a new kind of tension
All across the alien nation
Where everything isn't meant to be okay
Television dreams of tomorrow
We're not the ones who're meant to follow
For that's enough to argue.

12 gennaio 2010

Souvenirs de Noël

Montaigne! toi qui te piques de franchise et de vérité, sois sincère et vrai si un philosophe peut l’être, et dis-moi s’il est quelque pays sur la terre où ce soit un crime de garder sa foi, d’être clément, bienfaisant, généreux ; où l’homme de bien soit méprisable, et le perfide honoré.
(Jean-Jacques Rousseau, Émile ou de l’Éducation)

Avanti il prossimo, si sta facendo scuro
(Jean Fabry, Capra&Cavoli)

- Non riconosco più questo paese. I suoi abitanti (giacché "cittadini" è termine che implica un grado di coscienza che non scorgo più) sono stati conquistati da un populismo desolante, lobotomizzati dal qualunquismo spaventoso dei discorsi del Potere. Questi discorsi! Ah, li sento ovunque, tutti uguali. Moltiplicati come un virus mortale, hanno estirpato dalla coscienza degli abitanti di questo paese ogni barlume di umanità, lasciandoli vegetare in una palude infetta di ignoranza, grettezza, cafonaggine, odio verso i deboli, gli stranieri, i diversi e viltà e sottomissione verso i potenti. Questi uomini e queste donne sono morti per sempre, cara Edelmira, e non fosse per l'azzurro profondo dei Vostri occhi, non proverei alcun rimorso se la più spettacolare delle eruzioni ricoprisse domani di un grigio sudario questa landa desolata.
- Non dite sciocchezze, Don Augusto. Le vostre parole piene di rancore non raggiungeranno mai il mio cuore puro, quand'anche i vostri maldestri complimenti riuscissero a trarmi in inganno. Quelli come voi sono stati condannati dalla Storia e si rifiutano di guardare in faccia la realtà. Ma non li vedete come camminano per le strade, vestiti bene e all'ultima moda? Guardateli, mentre ammirano le vetrine e riempiono caffè e ristoranti. Questo è un paese operoso, Don Augusto, un paese ricco e felice, dove non c'è posto per chi semina discordia attraverso il nichilismo.
- Se questo è il vostro ultimo pensiero, arrivederci, cara Edelmira.
- Addio, Don Augusto.

(Edelmira Thompson de Mendiluce, Il secolo che ho vissuto, Buenos Aires, 1968)

16 novembre 2009

È solo un tic nervoso sul lato sinistro della testa

Fake conversations on a non-existent telephone
Like the words of a man who spent a little too much time alone
I don't want to spend too much time alone

Ascoltare il genio di Andrew Bird mentre fischietta, pizzica il violino, campiona tutto insieme e poi canta le sue filastrocche su Imperi Sciti e inutili valigette ventiquattr'ore dell'Halliburton, in preda al suo lieve autismo, saltellando fuori tempo su un piede solo come un folletto ubriaco, è stata una vera delizia. Assistere alla grazia di quest'uomo, che passa con assoluta confidenza e umiltà dalle sviolinate malinconiche del suo ultimo, bellissimo disco (Noble beast) ad un'esilarante versione in francese della canzone di Kermit la Rana "Bein' Green" (diventata "C'est pas facile d'être vert" - qui la versione in un concerto a Montréal), ad un duetto con la tuba di Benjamin Jaffe della Preservation Hall Jazz Band in due classici del Delta: Shake it and Break it e Goin' home, è stata una meraviglia. Di gran lunga il più bel concerto di quest'anno.





PS: per apprezzare appieno Andrew Bird al di là dei nostri filmatini iperlowfi, andate a dare un'occhiata a questo mini-concerto su arte.

5 settembre 2009

Laurie Anderson + Lou Reed

The Yellow Pony and Other Songs and Stories, Salle Pleyel, 4/9/2009.
Concerto bellissimo, a tratti commovente. Alle poesie/canzoni di Laurie Anderson (che giocava con la sua voce: inquietante una versione distorta da un effetto darth vader) si alternavano i classici di Lou Reed e dei Velvet. Una grande "Pale Blue Eyes", una velvetiana "Halloween Parade" - dove nella sarabanda finale Laurie incarnava insieme sia la voce di Nico che la viola di Cage - una struggente "Romeo had Juliet".
Verso la fine del concerto, in una jam strumentale si è unito un tizio che faceva suonare il suo sassofono come se fosse dieci strumenti diversi, martellando i tasti a velocità astronomiche. Il sax di John Zorn, ospite del duo, ha accompagnato anche l'ultimo bis, una magica "I'll be your mirror".
Cosa chiedere di più? Un secondo bis che purtroppo non c'è stato. Dopo gli applausi finali, i musicisti escono di scena. Lou Reed è l'ultimo, si attarda. A un metro dall'uscita si ferma nella penombra, si gira verso il pubblico e alza i due indici al cielo, come per dire: io sono leggenda. La sala viene giù con fischi e altri applausi. Rock'n'Roll will never die.
La Salle Pleyel è piuttosto rigida sul divieto di video e foto: vi dovrete dunque fidare di questa recensione e accontentarvi della foto che Franz ha scattato durante la sessione di dediche alla fine del concerto.

9 marzo 2009

E infine uscimmo a riveder le ascelle

E' stata lunga, ma alla fine la tesi è stampata. Ci sono tante pagine, qualche parola scritta in greco, l'immancabile "Weltanschauung", una "Aufhebung eteronoma" (che non ho la minima idea di cosa voglia dire) e una citazione nascosta di Marsellus Wallace: direi che per un dottorato di filosofia può andare.
Il titolo? Ah, dimenticavo: "L'allevamento avicunicolo nella «Vie de Sainte Douceline» di Philippine de Porcellet: progresso scientifico e illuminazioni filosofiche in Limosino e Linguadoca all’alba del XIV secolo." Notevole, vero? Farà di certo ridere l'attore-deputato-sottosegretario che pare se ne intenda a pacchi di ricerca universitaria.
Nella foto: una squadra di oompaloompa mentre riduce in piccoli tronchi gli alberi caduti nel giardino della BnF dopo la tempesta di qualche settimana fa.

9 gennaio 2009

Gaza


Io non ce la faccio più a guardare: come il muezzin cieco dell'assedio di Lisbona, "i miei occhi sono colombe morte che non ritorneranno più al nido". Se siete più fortunati di me, vi lascio un testimone oculare; un po' di controinformazione, che di questi tempi non fa mai male, insieme ad altri punti di vista (grazie Sergio); poche righe brevi ma dense di Robert Fisk (via mirumir), perché la storia e la memoria si perdono facilmente. Infine, un bell'intervento dello storico israeliano Ilan Pappé e un documento degli Ebrei contro l'occupazione, per non fare, come i fasci, di tutte le erbe un fascio.

Ah, dimenticavo: buon anno!

24 novembre 2008

Ci sono quasi

Fantastica scena tratta da Le Péril Jeune, primo lungometraggio di Cédric Klapisch del '94, credo mai distribuito in Italia.




Chi non ha mai provato a suonare un assolo di chitarra facendo le "prove d'ascolto" con l'originale, non capirà mai - nel profondo - lo sguardo frustrato e sconsolato del protagonista: roba da far attaccare la chitarra al chiodo per sempre.
Certo pure lui, della serie: "comincio da una facile"! (Per chi non l'avesse riconosciuta, I'm goin' home dei Ten Years After, suonata live dal leggendario concerto di Woodstock, da un mostro chiamato Alvin Lee. Il quale forse riusciva nei suoi exploit anche per questo motivo.)

7 ottobre 2008

Patti Smith - Nuit Blanche 2008

Francamente, l'idea di andare a vedere un reading di Patti Smith, nella chiesa di Saint Germain des Près, basato sul Cantico di San Francesco non è che mi facesse impazzire. Però Patti Smith è sempre Patti Smith, che diamine, ed il concerto era pure gratìss (beh, grazie a Francesca e Laura che hanno fatto un'ora e mezza di coda all'Hotel de Ville a ritirare i biglietti il giorno prima)...
Poi va a finire che lei sale sul palco, accompagnata dalla figlia Jesse al piano e dal figlio Jackson alla chitarra, e comincia a fare un suo concerto in piena regola - altro che S. Francesco - beata, felice e palesemente emozionata di suonare in quella Parigi che l'accolse nel 1969 (quasi quarant'anni fa).
Il concerto dura poco più di mezz'ora ma tanto basta: dopo aver steccato un poco su Redondo Beach (ma chi se ne frega, se lo può permettere), parte una Dancing Barefoot da brividi, con una voce se possibile ancora più bella ed emozionante di quella di trent'anni fa. A quel punto, per me poteva finire tutto lì. E invece no: arpeggino del figlio e: "There is a town, in North Ontario...". Allora dillo, che oltre ai brividi vuoi che mi metta a piangere: ammettilo.
E ora? Come si potrebbe chiudere la serata? Per esempio potremmo ricordare papà Fred "sonic" Smith, indimenticato leader degli MC5, e dedicargli un pezzo. Potremmo suonare tutti insieme Because The Night. Per esempio.
Patti saluta, ma prima di andare via fa un ultimo pezzo: People Have The Power. La gente è in piedi a battere le mani; qualche pugno alzato, ad imitare il suo; fa strano, in chiesa; sembrano dire: ci crediamo ancora, nonostante tutto.
Saluti. Buonanotte. Merci Paris.

Non ho mai creduto agli angeli: ma se ne dovesse esistere anche solo uno, era lì, l'altra notte, nella chiesa di Saint Germain des Près.

Ora piangete tutti quanti, in religioso silenzio:

18 settembre 2008

16 settembre 2008

Fenicotteri rosa che se ne volano via.

Richard William Wright (1943-2008)

I miti di gioventù se ne vanno e noi dedichiamo pezzi di musica in forma di orazioni funebri. Fernando mi dice che stasera riascolterà Wish You Were Here: anch'io pensavo di proporre una Shine On You Crazy Diamond con il suo assolo iniziale, ma è molto lungo, e pesa un quintale: e poi si conosce a memoria. Altro pezzo epico poteva essere Echoes (di cui ho visto la versione del Live at Pompei, l'altra sera su Arte) e pure lì il vecchio Richard assolava niente male; ma anche quei 23 minuti e rotti sono decisamente troppi per il tempo e lo spazio di un blog. Vi consiglio allora di ascoltarvela da soli, nel chiuso delle vostre camerette mentre ripensate a quanto siete vecchi (e a quanto vi state pericolosamente avvicinando agli splendidi quarantenni di morettiana memoria).

Io invece voglio rimanere spensierato (Happy-Go-Lucky) e per questo metterò sul piatto un pezzettino simpatico, dal tono vagamente français, dove il piano di Richard Wright accompagna l'idea di un inquietante tête-à-tête tra Roger Waters e Rita Pavone, giusto per rimanere nel filone delle curiosità un po' snobistiche dei fan, dei paraphernalia, degli "scusi, dov'è il bar?", o se preferite, visto che avete voluto vedere Parigi, dei "s'il vous plaît, où est le bar?"

21 maggio 2008

Palla corta sotto rete

Se trovi un pacco per te nella cassetta delle lettere e non hai ordinato niente, allora è sicuramente pubblicità, marketing, promozioni. Anche se un pacco così grande... Chissà perché ho pensato subito a dei libri; ma no, è troppo leggero.
Arrivo a casa, apro e osservo l'oggetto contenuto: boh! Leggo subito la lettera allegata: è della mia banca.

"1973-2008. 35 anni di fedeltà al tennis! Cher Monsieur, BNP Paribas festeggia i suoi 35 anni di partenariato con il tennis. Un anniversario che abbiamo deciso di condividere insieme a lei. Perchè lei? Perché lei è nato tra il 20 maggio e l'8 giugno 1973. Dunque festeggia anche lei i suoi 35 anni durante il torneo Roland Garros 2008. Per festeggiare questo doppio anniversario, abbiamo il piacere di offrirle questo magnifico regalo: l'asciugamano Roland Garros 2008 in edizione limitata."

Ah bon! Ecco cos'è: un asciugamano. Tutto nero e rosa, a prima vista l'avevo preso per una sciarpa del Palermo. E' veramente brutto. I disegnini soprattutto: la tour eiffel, la bocca del métro, una panchina con cappello di paglia, (douuuuuce Fraaaance....) un seggiolone dell'arbitro, una tennista e tante, tante palle. Didascalia unica via.

Rimango qualche secondo basito, preso in contropiede da una tristezza liftata che non riesco a capire se è dovuta agli anni che passano (in mezzo ai miei pensieri sfreccia rapido l'ultimo incontro del Roland Garros che ricordi: un Lendl-Chang di secoli fa), al fatto che questo compleanno me lo abbia annunciato per prima (e con largo anticipo) la mia banca, all'essere associato in qualche modo ad un enorme programma di sponsorizzazione, alla bruttezza estrema dell'oggetto ricevuto in regalo (a questo punto facevate uno sforzo e mi mandavate un biglietto per un preliminare, oppure che so, un ottavo del doppio misto).

L'espatrio transalpino, comunque, per me ha portato un indubbio avanzamento: il massimo del marketing virale legato agli anniversari, in Italia, erano gli sms dell'Adecco che mi facevano puntualmente gli auguri: vuoi mettere?
"Jeu, set, match, BNP Paribas."

30 dicembre 2007

E sette: così non ci si pensa più










http://www.unita.it/view.asp?IDcontent=71746

"L’aspiratore nuovo, i gas di accumulo, i fuochi alla discenderia 32 – come se i fuochi non ci fossero sempre, in un banco di lignite. Stavolta era stufo: meno storie, disse ai capisquadra, mandate cinque uomini della squadra antincendi a spegnere i fuochi, ma intanto sotto anche la prima gita. La mattina del giorno dopo, alle sette, la miniera esplose.
Rimasi quattro giorni nella piana sotto Montemassi, dallo scoppio fino ai funerali, e li vidi tirare su quarantatré morti, tanti fagotti dentro una coperta militare. Li portavano all’autorimessa per ricomporli e incassarli, mentre il procuratore della repubblica accertava che fossero morti davvero, in caso di contestazione, poi, da parte della sede centrale. Alla sala del cinema, ora per ora, cresceva la fila delle bare sotto il palcoscenico, ciascuna con sopra l’elmetto di materia plastica, e in fondo le bandiere rosse. Venivano a vederli da tutte le parti d’Italia, giornalisti con la camicia a scacchi, il berrettino e la pipetta, critici d’arte, sindacalisti, monsignor vescovo, un paio di ministri che però furono buttati fuori in malo modo.
Venne il povero Di Vittorio a raccomandare la calma e la moderazione. Non venne la celere e anche i carabinieri del servizio d’ordine si tennero accosto al cancello della direzione. Ai funerali ci saranno state cinquantamila persone, tutte in fila con le bandiere, le corone dei fiori, il vescovo con la mitra e il pastorale. E quando le bare furono sotto terra, alla spicciolata se ne andarono via tutti, col caldo e col polverone di tante macchine sugli sterrati. [...]

Ora appunto io venivo ogni giorno a guardare il torracchione di vetro e di cemento, chiedendomi a quale finestra, in quale stanza, in quale cassetto, potevano aver messo la pratica degli assegni assistenziali, dove la cartella personale di Femia, di Calabrò, di tutti e quarantatré i morti del quattro maggio. Chiedendomi dove in che cantone, in che angolo, inserire un tubo flessibile ma resistente per farci poi affluire il metano, tanto metano da saturare tutto il torracchione; metano miscelato con aria in proporzioni fra il sei e il sedici per cento. Tanto ce ne vuole perché diventi grisù, un miscuglio gassoso esplosivo se lo inneschi a contatto con qualsiasi sorgente di calore superiore ai seicento gradi centigradi.
La missione mia, di cui dicevo pocanzi, era questa: far saltare tutti e quattro i palazzi e, in ipotesi secondaria, occuparli, sbattere fuori le circa duemila persone che ci lavoravano, chine sul fatturato, sui disegni tecnici e sui testi delle umane relazioni, e poi tenerli a disposizione di altra gente.

(Luciano Bianciardi, La vita agra,1962)


Buon natale e buon anno.

20 dicembre 2007

E sei

Rosario Rodinò, 26 anni

http://www.unita.it/view.asp?IDcontent=71499

Non è facile trovare in rete la notizia. Su l'Unità.it è gia declassata a fondo pagina (il titolo è per il discorso di Veltroni a Milano... adesso è cambiato: la minaccia di Dini).
Su Repubblica.it è uscita ieri sera, ma dopo meno di 24 ore non se ne ritrova più traccia, neanche tra le brevissime.
Beh, l'abbiamo capito che sono morti questi poveri operai e che muoiono ancora, ma adesso basta: è Natale, bisogna preparare il cenone (le ricette di Vissani), decidere se per l'anno nuovo dobbiamo comprare il calendario sacro (le infermiere volontarie della crocerossa) o quello profano (The UK's Hottest Babies) o cattolicamente&italianamente, tutt'e due.
E poi lo sanno tutti che gli italiani preferiscono leggere del tizio a cui gli hanno "riattaccato un braccio staccato da un coccodrillo", di Dini che non voterà la fiducia, degli aumenti della benzina, del boom dell'"amore.it" (dalla rete all'altare), delle rughe di Hillary Clinton che dividono - mio Dio! - gli USA, di Cory, la nuova lolita del web che fa impazzire i giovani.

Ve lo meritate Alberto Sordi.

A perenne memoria:
http://www.cadutisullavoro.it