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16 dicembre 2011

Vous avez dit macaron? Arigatō!

L'altra sera avevamo due amici a cena (non per cena), pure loro italiani in esilio, del «circolo dei bloggers parigini estinti». Avendo scoperto una comune passione per la tarama & affini, avevo promesso loro un dîner a tema, con un menu composto da blinis con tarama al naturale (non colorata col pennarello), rillettes di tonno ai capperi, tartara di alghe, fegato di merluzzo affumicato e salicornes. Poi due spaghetti alla bottarga - ricetta di mamma - e per finire un po' di formaggio, ché una cena senza formaggio è una bella donna a cui manca un occhio, come diceva quel tale.

I nostri ospiti si sono guardati bene dal portare del vino e hanno optato per il dolce: una scatola di macarons. Ora, direte voi: e che sarà mai! I macarons sono overrated (e da quando Ladurée ha aperto a Milano, diciamolo, pure un po' sputtanated). Ma dimenticatevi tutto quello che sapete sui macarons. Dimenticate l'antagonismo eterno tra Pierre Hermé e Ladurée, dimenticate tutti gli articoli su «dove trovare i migliori macarons a Parigi», dimenticate le degustazioni dei giornali specializzati (nelle quali, puntualmente, arrivano ai primi posti i macarons surgelati di Picard che si fanno burla dei più grandi pasticcieri titolati).
Dimenticate tutto, perché il maestro Sadaharu Aoki ha sfornato il macaron definitivo. La pasta è croccante e morbida allo stesso tempo, la crema ha una consistenza perfetta. E i gusti: tè matcha, cassis, violetta, sesamo, earl grey (il mio preferito), rosa (che non ho mangiato per pregiudizio, ma mi assicurano eccezionale). Dal piccolo e stiloso depliant, ho anche scoperto l'esistenza di un macaron al wasabi e un altro all'umeboshi (e non vedo l'ora di assaggiarli).

I nostri ospiti hanno così vinto la cena, facendoci scoprire questo Chef pâtissier nato a Tokyo nel 1968 e trasferitosi a Parigi nel 1991. Dopo dieci anni di gavetta alla corte dei grandi, Aoki apre la sua prima pasticceria nel 2001. E pensare che siamo stati dieci anni nell'ignoranza (David Lebovitz lo citava già nel 2005 e non per i macaron: pare che la sua specialità sia la pasta sfoglia): roba da matti.

Haiku makaronu

Amo il semplice
ma è difficile:
non puoi barare.



19 ottobre 2010

Jaques Prévert, Citroën


Sulla porta delle case chiuse
Brilla una piccola luce
Qualcosa di fievole, di discreto
Una piccola lanterna, un lumicino
Ma su Parigi addormentata
Una gran luce si diffonde
Una gran luce monta sulla torre
Una luce cruda
E' la lanterna del bordello capitalista
Con il nome del tenutario
che brilla nella notte
Citroën, Citroën!
E' il nome di un piccolo uomo
Un piccolo uomo con delle cifre in testa
Un piccolo uomo con uno sguardo strano
Dietro il suo monocolo
Un piccolo uomo che sa una sola canzone
Sempre la stessa
Utili netti
Una canzone con cifre che danzano
300 macchine, 600 macchine al giorno
Monopattini, roulottes, spedizioni, autocingolati, camion
Utili netti
Milioni, milioni, milioni, milioni
CitroënCitroën
Anche in sogno si sente il suo nome
500, 600, 700 macchine
800 autotreni, 800 carri armati al giorno
200 carri funebri al giorno
200 carri funebri
E di corsa!
Lui sorride, continua la sua canzone
Non ascolta la voce degli uomini che fabbricano
Non ascolta la voce degli operai
Se ne fotte degli operai
Un operaio è come una gomma vecchia
Quando una si crepa, non la si sente nemmeno crepare
Citroën non ascolta, Citroën non capisce
E' duro d'orecchi quando si tratta di operai
Però al Casinò la sente bene la voce del croupier
Un milione, signor Citroën, un milione
Se vince, tanto meglio, ha vinto
Ma se perde, non è lui che perde
Sono i suoi operai
Sono sempre quelli che fabbricano
Che, in fin dei conti, sono raggirati
Ed eccolo che passeggia a Deauville
Eccolo a Cannes, che esce dal Casinò
Eccolo a Nizza che fa il bello
Sulla Promenade des Anglais, con una giacca chiara
Bel tempo, oggi! 

Eccolo che passeggia, che prende un po' d'aria
Anche a Parigi prende l'aria
Prende l'aria degli operai, prende loro l'aria, il tempo, la vita
E quando ce n'è uno che sputa i polmoni in fabbrica
I polmoni rovinati dalla sabbia e dagli acidi
Gli rifiuta una bottiglia di latte
Che cosa glie ne può fottere di una bottiglia di latte?
Non è mica lattaio lui, lui è Citroën
Ha il suo nome sulla torre
Ha colonnelli ai suoi ordini
Colonnelli scribacchini, aguzzini, spioni
I giornalisti
 mangiano dalla sua mano
Il prefetto striscia sul suo zerbino
Limoni, limoni
Utili netti, milioni, milioni
Oh, se la cifra d'affari cala
Perché gli utili non diminuiscano
Basta aumentare il ritmo e abbassare i salari
Abbassare i salari
Ma coloro che sono stati per troppo tempo
Tosati come cagnolini
Hanno ancora una mascella da lupo
Per mordere, per difendersi

Per attaccare
Per fare sciopero
Lo sciopero

Lo sciopero

Viva lo sciopero!


(Jacques Prévert, Citroën)

L'originale qui: http://laflaneuse.org/la-greve/

9 aprile 2010

Non fa una piega

(Voglio dire: se io sono ex-patriato
tu allora sei ex-patria).

(da La grande rabbia, di Roque Dalton. Il resto della bellissima poesia la trovate qui, mirabilmente e meritoriamente tradotta da mirumir).

12 febbraio 2010

Perché ci vuole orecchio

Le vent traînait des pailles sur le chemin, pailles arrachées aux litières par les minces brèches des portes, pailles volantes des abords de grange, pailles anciennes des meules oubliées au soleil. Le vent s'était levé matin. Il avait raclé la surface de la mer pour lui prendre le sucre blanc des embruns, il avait grimpé la falaise, faisant sonnailler les bruyères stridentes, il tournait autour de la maison, se taillant un sifflet du moindre recoin, soulevant, ça et là, une tuile plus agile, roulant des feuilles de l'automne passé, filigrane brunis ayant échappé à la succion du compost, tirant des ornières une draperie de poudre grise, écorchant de sa râpe la croûte sèche d'anciennes flaques. Un tourbillon se formait à l'orée du village. Des brindilles, des herbes folles se mirent à girer, sommet d'un cône incertain. La pointe se déplaçait capricieusement, comme la mine d'un crayon suit une courbe de niveau; il y avait près du haut mur gris une chose noire, spongieuse et plastique; la pointe s'en approcha dans un zigzag imprévu. C'était l'enveloppe vide et légère d'un chat noir, d'un chat sans substance, impalpable et sec. Le tourbillon le roula sur le chemin, efflanqué, disloqué, comme un journal roulé sur une plage, avec des grands gestes gauches; le vent tendait des fils aigus de bruit aux pointes des herbes hautes - le fantôme de chat quitta le sol dans un bond grotesque et retomba de guingois. Une saute de vent le plaqua contre une haie, puis le reprit, pantin désossé, pour la valse suivante. Le chat bondit soudain au-dessus du talus, car le chemin tournait; il coupa à travers champs; il courait parmi les pointes vertes des épis naissants, s'électrisant à leur contact, voltigeant de place en place, tel un corbeau ivre, et vide du vide parfait du végétal sec, comme la paille ancienne des meules oubliées au soleil.

(Boris Vian, L'arrache-cœur, parte II, cap. VII)

22 gennaio 2010

Una frase, manco un rigo

Et ce pays frappé d'amnésie.

(Tahar Ben Jelloun, Moha le fou, Moha le sage, Seuil, 1978)

5 settembre 2009

Laurie Anderson + Lou Reed

The Yellow Pony and Other Songs and Stories, Salle Pleyel, 4/9/2009.
Concerto bellissimo, a tratti commovente. Alle poesie/canzoni di Laurie Anderson (che giocava con la sua voce: inquietante una versione distorta da un effetto darth vader) si alternavano i classici di Lou Reed e dei Velvet. Una grande "Pale Blue Eyes", una velvetiana "Halloween Parade" - dove nella sarabanda finale Laurie incarnava insieme sia la voce di Nico che la viola di Cage - una struggente "Romeo had Juliet".
Verso la fine del concerto, in una jam strumentale si è unito un tizio che faceva suonare il suo sassofono come se fosse dieci strumenti diversi, martellando i tasti a velocità astronomiche. Il sax di John Zorn, ospite del duo, ha accompagnato anche l'ultimo bis, una magica "I'll be your mirror".
Cosa chiedere di più? Un secondo bis che purtroppo non c'è stato. Dopo gli applausi finali, i musicisti escono di scena. Lou Reed è l'ultimo, si attarda. A un metro dall'uscita si ferma nella penombra, si gira verso il pubblico e alza i due indici al cielo, come per dire: io sono leggenda. La sala viene giù con fischi e altri applausi. Rock'n'Roll will never die.
La Salle Pleyel è piuttosto rigida sul divieto di video e foto: vi dovrete dunque fidare di questa recensione e accontentarvi della foto che Franz ha scattato durante la sessione di dediche alla fine del concerto.

15 agosto 2008

Ferragosto

Una delle poesie dell'edizione 2007 di mots publics à Saint Blaise, il nostro quartiere.

e poi a casa
la pasta fredda
coi peperoni arrosto:
è proprio ferragosto!


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* 2 euros 20: il prezzo del biglietto d'ingresso alle piscine comunali;
** eau de javel: la candeggina.