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2 novembre 2011

haivolutovedereparigi tra i meilleurs blogs de gourmets étrangers sur la France

Millefeuille d'aubergines, noires de Crimée et chèvre frais
L'hanno rifatto. Ancora una volta haivolutovedereparigi si becca un premio dalla redazione Style de lexpress.fr. Non ho la minima idea di come sia potuto succedere - e la cosa ci lascia alquanto costernati - ma ammettiamolo per un momento: secondo me a quelli della redazione stiamo simpatici, anche se non capiscono una mazza di quello che scriviamo (io sospetto alla base di questi carotaggi in rete il famoso algoritmo a muzzo, ma vabbé).
In effetti, la ricerca per tag cibo su questo blog restituisce qualche riflessione sulla gastronomia d'oltralpe, ma citarci nella stessa pagina insieme a David Lebovitz! No dico: ma stiamo scherzando?
Sarà forse un segno del destino? Un richiamo insistente a imboccare in modo deciso e definitivo la via del foodblogging? Una luce che da lontano ci indica il mondo di Csaba?
Solo il futuro potrà rispondere a queste domande. Per adesso ci teniamo stretto questo award di «blog qui fait saliver en italien».
Bon Appetit e gnégnégné à tout le monde.

18 ottobre 2011

This must be the - oh shit! (E mo basta veramente però)

... Questa è l'ultima, poi giuro che mi cheto. In realtà sarà più una recensione di una recensione, dunque una sega all'ennesima potenza, o se preferite una critica zombi (se recensire è un po' morire, recensire una recensione è morire due volte oppure rinascere non-morto con istinti parassiti).
... Il brandello di carne insanguinata che ha attirato il mio cannibalismo è stato dilaniato da Malcom Pagani, su Il fatto quotidiano, che è andato letteralmente in estasi davanti a This must be the place. E ha scritto un vero e proprio panegirico su quello che secondo lui è - senza alcun dubbio - il miglior film di Paolo Sorrentino.  Un film straordinario
Per fattura ed etimologia. È fuori dall’ordine senza compiacimenti. Sublima l’estetica, ma ha una trama plausibile. 
... Peccato che l'estetica di questo film sia tutto fuorché sublimata: è anzi talmente sovrabbondante che diventa fine a se stessa; una vernice sbrilluccicante su una macchina vuota, senza motore, che esprime il peggior manierismo, lo stile stiloso, la posa artistica. Dopo dieci minuti già non se ne può più: il carrello che avanza, il carrello che arretra, plongée, contre-plongée, il carrello che gira intorno; è un tripudio inutile di dolly, una danza insensata e continua di movimenti di macchina. In questa antologia da manuale non manca niente: né un movimento in avanti con dissolvenza su un lenzuolo (il dis-velamento del cinema, capito, no?), né un ralenty buttato lì alla cazzo (ben altro senso nei ralenty di Drive). A questo si aggiunge una colonna sonora che più didascalica non si può, con pianoforti plinplon e violini incomprensibilmente sparati a un volume assurdo.
... Verrebbe voglia di suggerire una piccola Cura Ludovico per Malcom Pagani: una visione a palpebre bloccate de La Région Centrale di Michael Snow. Ma siccome sono buono, mi limito a consigliare un piccolo ripasso, barattando tre ore di tortura con «un minuto e quaranta di cinema puro». Come dice bene quello zombi di mio cugino: «Il carrello non è sempre necessario, a volte anche una piccolissima panoramica può essere una questione morale».

... E passiamo al contenuto. Nonostante percepisca netti «afrori di Oscar», Pagani utilizza l'eufemismo «plausibile» associato alla trama, tradendo la palese vacuità del soggetto e la fragilità della sceneggiatura. Ma il vero problema è questo manierismo estetico applicato a un tema come il nazismo e i campi di sterminio che, alla fine, manda tutto in vacca. Nella superficialità si stempera tutto, si perde il senso, si ha la sgradevole sensazione che ciò che importa è la posa, il gesto (e allora parliamo pure di sarcicce, tanto va bene così).
... Ma forse noi non abbiamo capito, ci siamo fermati alla superficie, poiché il recensore celebra un Sorrentino che va oltre
Tocca i tabù, scava in profondità, brucia gli schemi e li ribalta. Ti porta sulla strada. Ti fa annusare gli odori. Gli hamburger bruciati nel cuore dell’America predesertica, dove l’acme del sogno è una citazione nel Guinnes dei primati “abbiamo il pistacchio più grande del pianeta qui, sai?”, i motel sono vuoti dodici mesi l’anno e la disperazione, quando pulsa, assorda. Anche per questo, This must be the place è un film straordinario. 
... Pagani scrive come se non ci fosse una storia del cinema. E non c'è bisogno di avere chissà quale cultura cinematografica qui: basta fare il nome dei Fratelli Coen. Non c'è nessuna profondità nella macchina da presa che si avvicina al tir che trasporta il gasolio, scende sotto il pianale e - ohhhhh! - risale piano, si avvicina al SUV di Cheyenne e si ferma sul viso del pellerossa che gli chiede il passaggio (Cheyenne/il pellerossa, capito la metafora oscura?) Non c'è nessuna profondità nell'hamburger bruciato «nel cuore dell'America predesertica». Pagani scrive come se (e Sorrentino gira come se) negli ultimi anni non ci fossero state serie TV con una qualità spettacolare, che con 30 milioni di dollari producono un'intera serie, che con il cachet pagato a Eve Hewson (che Pagani ci svela essere la figlia di Bono Vox: ah sì? Ma interessantissimo!) ci pagano un Bryan Cranston.
... Odori? Tabù? America Profonda? Ci sono più cose in un bucket di Los Pollos Hermanos, caro Pagani, di quanto ne mostrino gli hamburger bruciati di This must be the place.
... È davvero incomprensibile quest'estasi ipnotica davanti a un'America di cartapesta, frutto di un esotismo ormai consunto e fuori tempo massimo. Per carità, questa pagliuzza esotica è bella, lucida, rifinita, perfetta. Infinitamente più figa della trave locale:
A Barcellona Pozzo di Gotto, vicino a Messina, è stata inaugurata nel 1998 una statua creata dall'artista siciliano Emilio Isgrò: rappresenta un seme di arancia ingrandito a dismisura e alto ben 7 metri.
(Strano, ma vero! n. 27869, La Settimana Enigmistica n. 4147, 17 settembre 2001)

1 luglio 2011

Buone vacanze

«Per vivere l'estate con filosofia, portatevi Nietzsche in spiaggia»

Eh, caro Fritz, non me lo dire, il mare è sempre peggio. Ti ricordi quella volta, io, tu, Malwida e Peter Gast a caccia di meduse a Ischia? Non mi ricordo se c'era pure Lou, ma sai, si invecchia... Sì, lo so, si diventa ciò che si è, ma io questa cosa non è che l'ho mai capita per davvero... Cioè, se prendiamo in considerazione la decrepitudine del corpo, il rincoglionimento generale, la perdita della memoria, non è mica una bella teoria... per esempio: tu sei stato sempre scarso a racchettoni? Secondo me no, secondo me da giovane eri un mago dei racchettoni. E ora invece la mandi sempre nell'acqua e a me tocca andare a raccattarla tutte le volte... Bada che culo quella lì! No, niente, dicevo che tua sorella, in effetti, è stata una bella stronza. Lo so, quel simpaticone protonazista del marito non ha aiutato, ma secondo me lei era già sulla buona strada...
Vabbé, ci facciamo una birretta? Tanto quest'anno c'è il mare mosso e l'omino che faceva i corsi di surf non si è ancora visto. Secondo me non verrà. Altro che eterno ritorno dell'identico, qui va tutto in vacca, sempre di più.
Ma dimmi una cosa: sei stato tu, vero, a scrivere "Dioniso contro il crocifisso" in Rue Orfila? Dai, a me puoi dirlo. Solo che non hai finito perché sono arrivati i flics e tu ti sei dégonflé, come dicono i francesi, quei francesi che tu ami tanto... e dai, sù. Non lo dico a nessuno, Fritz. Lo so che dentro di te si cela un'anima da writer. Ecco: sei un writer! Sei diventato un writer perché tu sei un writer
Sì, mi sposto dal sole.
Sì, fa caldo.

18 febbraio 2011

Rivolte nel mondo arabo. La nostra arroganza colonialista

Le interpretazioni francesi delle rivolte popolari nel mondo arabo sono buoni indicatori di come noi percepiamo questo stesso mondo. Mentre l’Europa si avvita sul suo pessimismo, lamentandosi della sua crisi, popoli sottomessi al giogo di tiranni rialzano la testa e si battono per la libertà.
Un’occasione per dare un po’ di coraggio, scuotere la nostra apatia e impegnarci nella lotta per una società più giusta e meno «aristocratica».

Un inatteso «choc delle civiltà»
Intorpidita dal benessere e alienata dallo spettro della disoccupazione, la Francia della Rivoluzione francese osserva forse la rivoluzione nei paesi arabi con invidia, mentre la sua élite politica e alcuni dei suoi intellettuali temono questi sconvolgimenti e li commentano seguendo griglie di lettura di altri tempi, ereditate dal colonialismo. Si chiedono come mai gli antichi colonizzati sono capaci di ribellarsi, questi «ritardati della civiltà», questi «islamici-terroristi» obnubilati dalla loro religione «retrograda». Le donne che in occidente volevamo liberare levando loro il velo, stanno portando avanti la rivolta – con o senza velo –, a fianco degli uomini, su un piano di uguaglianza, laggiù nelle pubbliche piazze.

Per di più, questi «emarginati» della modernità hanno fatto la loro rivoluzione attraverso i mezzi tecnologici più sofisticati, mentre noi li utilizziamo la maggior parte del tempo per dire al mondo che stiamo facendo una passeggiata o che stiamo festeggiando un compleanno… È proprio questo il vero senso dello «choc delle civiltà»[1], il nostro rincorrere i grandi entusiasmi, le grandi cause suscettibili di cambiare la nostra società. Prigionieri del nostro conservatorismo, siamo costretti a confrontarci con un’esplosione positiva che si è data come obiettivo la destituzione dei tiranni e degli sfruttatori immorali e disonesti.

L’islam come griglia di lettura
Noi abbiamo letto gli eventi attraverso la lente d’ingrandimento dell’islamismo, nemico della modernità e dell’Occidente. Certo queste tendenze esistono all’interno dell’islam e non sono estranee al mondo arabo, il quale è tuttavia multiforme e irriducibile allo schema che noi imponiamo sia all’islam in Occidente che all’islam nel mondo arabo. L’Iran è diventato il centro di ogni nostra riflessione che viene applicata a tutto ciò che si muove nel Mediterraneo musulmano.

In pratica, noi abbiamo trattato questi paesi in ebollizione con l’arroganza ereditata dal colonialismo, dimenticando persino che questi stessi popoli si erano già rivoltati contro lo stesso colonialismo e avevano ottenuto l’indipendenza a prezzo di grandi lotte. Non è la prima volta che prendono il proprio destino in mano come dei veri adulti, non come bambini. La diplomazia preferisce la stabilità all’ignoto. Tuttavia è nell’ignoto che risiede l’avvenire di queste società che aspirano ai diritti universali, non soltanto prerogativa dell’Illuminismo ma bene comune dell’umanità.

Lo spauracchio degli islamisti non basta più a farli arretrare. E se i movimenti di obbedienza islamica si posizionano sullo scacchiere politico e arrivano al potere attraverso un processo democratico, l’Occidente non potrà intervenire per fermarli. La Turchia è governata da una specie di «democrazia musulmana» e nonostante ciò il paese conosce una crescita economica da far impallidire l’Europa, senza perdere il suo dinamismo, la sua creatività e la sua inventiva. Qualcuno potrebbe sostenere che l’emergenza di una «democrazia cristiana» in Europa sarebbe anch’essa un assalto contro le libertà, mentre le destre estreme razziste, islamofobe e populiste insidiano il potere? Ovviamente no. Ma come riuscire a spiegarlo?

Islam, Israele e rivolte in territorio arabo.
Le Point del 3 febbraio e L’Express del 9 rispondono attraverso la loro copertina. Da un lato, una donna velata musulmana, con il titolo «Lo spettro islamico». Dall’altro, una giovane soldatessa israeliana in procinto di indossare il suo elmetto con il titolo «Israele di fronte al risveglio arabo».
La simbologia è chiara: da una parte l’islam retrogrado, dall’altra Israele, moderno e alleato dell’Occidente. Il paragone, non fortuito, ossessiona le menti di molti intellettuali dall’ideologia acrobatica. Secondo il loro avviso (e quello di alcuni «esperti», la maggior parte dei quali conoscono pochissimo la regione), le rivolte nel mondo arabo sfoceranno necessariamente nell’islamismo, cosa che metterebbe in pericolo Israele. Iran, Hamas, Hezbollah, Tunisia, Egitto, sono la stessa cosa. Se l’Olanda non è uguale alla Francia, perché l’Egitto deve assomigliare all’Iran e la Tunisia al Libano?

Alle prossime elezioni, in mancanza di reali programmi politici, qualche partito agiterà il drappo verde dell’islam. Ma sì: perché perdere tempo a sostenere ciò che accade in questo Mediterraneo che ci è così vicino e che, democratizzandosi, si avvicinerà ancor di più ai paesi occidentali per ricostruire in un vero mare nostrum, un insieme di partner democratici e non corrotti?

L’altra paura è che gli islamici al potere mettano Israele in pericolo. Ma si pensa davvero che da un giorno all’altro questi paesi cesseranno le loro relazioni con Israele? Che Israele è solo, fragile e senza difese nella regione? Che l’equilibrio geopolitico verrebbe sconvolto da un giorno all’altro da una democrazia che rimpiazza una tirannide? E che saranno sicuramente (inevitabile fatalismo) gli islamisti, come in Iran, a prendere il potere? Eccoci ancora una volta nelle maglie della rete dove si aggrovigliano islamismo, conflitto israelo-palestinese, eredità coloniale, rifiuto dell’islam e arroganza occidentale.

Le visite pagate dal principe arabo
Anche le visite a spese di questi principi corrotti, effettuate dal nostro Primo ministro e dal nostro ministro degli Affari esteri, ricordano altri tempi, quando ci si andava a servire «laggiù», in cambio del sostegno quantomeno «morale» di despoti locali o regionali poco raccomandabili. Lo stesso ambasciatore francese in Tunisia si è rivelato incapace di guardare con obiettività alla rivolta che si svolgeva sotto le sue finestre, accecato dalla sua visione delle cose: la stabilità (desiderata) del regime di Ben Ali. La stabilità e i dirigenti con i quali sappiamo parlare così bene, sono decisamente più importanti per la nostra élite politica della libertà dei popoli arabi, della quale non sanno che farsene.

A quando una rivoluzione della nostra mentalità per riuscire a vedere al di là del nostro naso e progredire? Sì, abbiamo proprio bisogno di uno «choc» per scuoterci profondamente e risvegliare le nostre società addormentate.

Esther Benbassa insegna Storia dell'Ebraismo moderno all'EPHE ed è Direttrice del «Centre Alberto-Benveniste d’études sépharades et d’histoire socioculturelle des Juifs». L'originale dell'articolo è qui: http://www.rue89.com/passage-benbassa/2011/02/11/revoltes-dans-le-monde-arabe-notre-arrogance-colonialiste-189970

[1] Il riferimento è alla teoria dello «scontro delle civiltà» di Huntington. Il testo gioca sul doppio senso di «choc» in francese («scontro» e «scossa»).

13 gennaio 2011

Sognare è urgente


La rivolta del popolo tunisino è arrivata ad un punto di non ritorno. Le manifestazioni sono quotidiane, in tutto il paese, come si può vedere in questo video a Kairouan, dove la piazza riesce a stento a contenere le persone. A Zaghouane, Mahdia, Monastir, il popolo è sceso in piazza a reclamare la fine della dittatura. Le manifestazioni hanno già raggiunto Djerba e i sobborghi di Tunisi. Il presidente Ben Ali, secondo alcune informazioni, avrebbe già "esfiltrato" le figlie e i rispettivi mariti a Montréal. Su Facebook e su Twitter, in questo momento sta girando la voce che lui stesso potrebbe lasciare il paese in serata.
Oscurata dai media tradizionali, la rivolta si riproduce, frammentata, nelle reti sociali (facebook, twitter, Youtube). La rivoluzione non passerà in TV, ma sarà filmata e messa su YouTube.
L'esercito, in qualche caso, si è schierato a fianco dei manifestanti, ma la polizia continua ad essere fedele al presidente e spara con proiettili veri sulla folla: i morti sono ormai più di cinquanta. Tra le vittime, un professore e ricercatore franco-tunisino, Hatem Bettahar, che insegnava all'Università di Compiègne. 

Di fronte ad una rivolta di tale dimensioni, il silenzio francese ed europeo è più che assordante. L'Europa -  governanti e intellettuali, politici e giornalisti/moralisti - si volta dall'altra parte, comprensibilmente imbarazzata del comportamento di uno dei suoi più brillanti cani da guardia contro «il pericolo islamista» e «l'invasione dei barbari» nel nostro ricco occidente. Pronta a difendere i diritti umani in Iran, in Venezuela e altrove (perfettamente in linea con la politica degli stati canaglia di George W. Bush che non sembra essere cambiata di un millimetro), la patria dell'illuminismo, la culla della civiltà dalle radici giudaico-cristiane, fa finta di non vedere che una cricca mafiosa regna da vent'anni sull'altra sponda del mediterraneo (qui un dossier sugli intrecci tra potere politico e potere economico), cricca il cui capo dà l'ordine di sparare impunemente sul proprio popolo.
«Al di là del saccheggio organizzato, della corruzione massiccia, dell’appropriazione mafiosa dei beni pubblici e della confisca di beni e proprietà private, il problema sono le scelte economiche orientate verso uno scatenato liberalismo capitalista, preoccupato quasi esclusivamente di soddisfare in modo servile la domanda europea (più dell’80% degli scambi commerciali della Tunisia sono con l’UE), fino a fare della Tunisia, sul piano turistico, una sorta di dépendance delle “case di riposo” europee, incomparabilmente più economiche e soleggiate.»
(Sidi-Bouzid – Tunisia: elogio di una rivolta già tradita o del diritto-dovere di resistere all'oppressione...e al tradimento, lungo ma interessantissimo testo di analisi e proposta politica e filosofica).
Il popolo tunisino, mentre continua a morire per strada, sta dando una lezione di civiltà, di democrazia, di dignità a tutti gli europei. Dagli interventi di studenti, giornalisti, membri della cosiddetta "società civile" pubblicati sul portale nawaat.org, emerge un'impressionante lucidità di analisi, una volontà insopprimibile di libertà, una capacità di organizzare la lotta e la protesta, una precisione sugli obiettivi da raggiungere.
«La Tunisia, la corruzione, le tangenti… abbiamo solo voglia di andarcene, a studiare in Francia, in Canada… Vogliamo abbandonare tutto. Siamo vigliacchi, e lo accettiamo. Lasciamo loro il paese. Andiamo in Francia, dimentichiamo un po’ la Tunisia. Torniamo per le vacanze. La Tunisia? Sono le spiaggie di Sousse e Hammamet, i locali notturni e i ristoranti. Questa è la tunisia, un gigante club med. E poi, Wikileaks rivela clamorosamente ciò che tutti mormoravano. E poi, un giovane si dà fuoco. E poi, 20 tunisini sono assassinati in un giorno. E per la prima volta, vediamo l’occasione di ribellarci, di vendicarci di questa famiglia reale che si è appropriata di tutto, di rovesciare l’ordine stabilito che ha accompagnato la nostra gioventù.Una gioventù educata, che non ne può più e che si appresta ad immolare tutti i simboli di questa antica Tunisia autocratica con una nuova rivoluzione, la rivoluzione del Gelsomino, quella vera.»
(Une jeunesse vécue sous l'ombre de Ben Ali)
Un popolo che è ancora capace di sognare, insomma, e di prendere in mano il proprio futuro:
«Siamo soli, isolati, in preda alla collera e all’inquietudine. Fronteggiamo un regime che si sta sbagliando di secolo e di paese.
Questa rivolta dei tunisini non può essere rivendicata da nessun partito politico, nessuna organizzazione, nessuna associazione. Nessuna figura dell’opposizione può rivendicarla o assumersene la paternità.
Questa rivolta viene dal popolo e al popolo appartiene. Questo popolo che alcuni immaginano arretrato sta dando una lezione alla sua classe politica e al mondo.
Le manipolazioni ideologiche non subentreranno ad una collera spontanea e popolare.
È compito dell’élite del nostro paese rispondere all’appello e immaginare l’avvenire. Noi dobbiamo costruire un nostro modello politico, economico, sociale e culturale. Noi dobbiamo mostrare al mondo che cos’è una democrazia araba.
È urgente sognare una Tunisia portatrice di speranza per tutti.
Due condizioni inderogabili per questo.
Bisogna riappropriarci del diritto alla parola, diritto al quale non avremmo mai dovuto rinunciare. Un diritto necessario perché scaturiscano le idee, fioriscano le intelligenze e si sposino tra loro per procreare il nostro futuro comune.
L’altra conditio sine qua non è la contrattualizzazione del rapporto tra i tunisini e le loro élites politiche: queste ultime devono essere al nostro servizio e non il contrario.

Perché i sacrifici non siano vani, è urgente sognare la Tunisia di domani.
Sogniamo.»

9 dicembre 2010

A Parigi nevica, ma l'inferno è altrove.

Che le condizioni metereologiche siano uno dei temi preferiti dei mezzi di disinformazione di massa, per poter continuare ad avvolgere il cervello del mediacittadino in uno spesso strato di grasso, è cosa risaputa. Pure mi sono un po' stupito, ieri sera, nel sentire l'inviato del TF1 da Chateau-Thierry (locus amoenus a nord est di Parigi, direzione Champagne) ripetere per ben tre volte: "Ici c'est l'enfer", qui è l'inferno. Capisco, certo, che non è bello rimanere fermo in macchina e dover dormire in una palestra di un liceo perché le strade sono bloccate e nessuno ha previsto un piano di intervento serio (tutto ciò mentre Franz glorifica, in sottofondo e con paragone spietato, i Potenti Mezzi Spazzaneve della Autonome Provinz Bozen). Ma addirittura l'inferno! Capisco pure che il povero cronista bloccato sulla A4 abbia freddo, ma via: l'inferno? Senza scomodare Rigoni Stern (dopo aver letto Il sergente nella neve ci penso sempre due volte prima di dire "ho freddo"), bisognerebbe seriamente porre un freno all'uso sconsiderato di termini e aggettivi; ci vorrebbe una moratoria di queste iperboli idiote che finiscono per togliere il senso reale alle cose. L'enfer, c'est les autres, diceva già quel tale. Ma l'inferno è - per adesso - altrove. Parlare di inferno a Chateau-Thierry mentre ad Haiti si muore di colera, oppure - senza andare tanto lontano - mentre tutte le notti di questo inverno migliaia di SDF (Sans Domicile Fixe) e famiglie precarie combattono contro il freddo ai margini delle città di una civilissima Francia, sembra quantomeno fuori luogo.
Se le spariamo grosse adesso per qualche nevicata, quando l'inferno arriverà davvero (sto guardando The Walking Dead e ça fout un peu la trouille, ma se non vi piacciono le storie di zombi potete sempre leggere Ballard per tranquillizzarvi) non avremo più parole e ci toccherà inventarne di nuove.

13 ottobre 2010

Dialogo semivero tra Nicolas Sarkozy e il suo consigliere sociale a proposito di un editoriale di un giornale di sinistra sulla riforma delle pensioni

(Il capo dello Stato francese, all'Eliseo, chiama a gran voce il nome di Raymond Soubie, «consigliere sociale» del capo dello Stato francese).

- Mi ha chiamato, Nicolas?
- Dieci volte.
- Non ho sentito: stavo rispondendo ai giornalisti.
- Appunto, Raymond: volevo sapere se è stato lei a scrivere l’editoriale di Laurent Joffrin uscito ieri su Libération.
- Io?
- Lei.
- Assolutamente no.
- Eppure, guardi: quello che c’è scritto ricorda furiosamente i suoi appunti sulla riforma delle pensioni.
- Non è una novità.
- Certo, ma fino a questo punto! Già inizia con lo scrivere che «Tutti possono capire che sono necessari dei sacrifici».
- Ho letto.
- Ma non è il fondamento delle nostre menzogne?
- Temo di sì.
- E poi, guardi ancora, scrive pure che «la maggioranza dei francesi, palesemente, giudica che non si può rimanere a questo punto e che una riforma, questa o un’altra, è necessaria».
- Fedele Joffrin!
- E qui ancora – giuro che qui mi sembra davvero lei – eccolo che fustiga «coloro i quali sperano in una radicalizzazione del movimento»!
- Aaaaahhh… i piccoli bastardi!
- E ascolti questa, Raymond: «Le dirigenze sindacali, ai vertici e nelle imprese, non possono trasformarsi in mercanti di illusioni»!
- Non l’avrei detto meglio.
- Ma appunto: non è stato scritto sotto la sua dettatura?
- Le giuro di no.
- Ma Joffrin non è di sinistra?
- Certo che sì: ma di destra.

(L’originale qui)

22 giugno 2010

Date storiche

21 giugno 1905: Jean-Paul Sartre nasce a Parigi. 105 anni dopo, Google gli dedicherà un doodle.
 
18 aprile 1973: Sartre, insieme a Serge July e a Philippe Gavi, fonda il giornale Libération.

22 giugno 2010 (105 anni e un giorno dopo la nascita di Sartre): Karl Lagerfeld caporedattore per un giorno di Libé. "Invitato speciale di Libé, che cambia formato per l'occasione, Karl Lagerfeld disegna tutta l'attualità. In esclusiva, Jeff Koons e Claude Lévêque ci offrono la loro interpretazione dello stilista".


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The new groups are not concerned
With what there is to be learned
They got Burton suits, ha you think it's funny
Turning rebellion into money
All over people changing their votes
Along with their overcoats
If Adolf Hitler flew in today
They'd send a limousine anyway


22 giugno 2008

Libé bling-bling

carla libé.jpgChe Libération fosse diventato nel tempo un giornale molto moderato, bobo, con un occhio alla gauche-caviar e un altro al modaiolismo festaiolo e vippettaro (ma sempre di gente cool, ça va de soi), lo sapevano anche i muri (coloro che son passati dal col Mao al Rotary, per citare una famosa lettera aperta di Guy Hocquenghem).
La scelta di ospitare Carlà in redazione, con copertina e 5 pagine di intervista sulla politica, sulla musica, sulla Francia, sui rapporti col Marito Presidente, rappresenta non di meno un discreto passo in avanti verso il trash, la spazzatura, l'appiattimento totale del grande flying circus mediatico che tutto 'l mondo appuzza.

Per la verità, metà redazione era contraria al progetto e fino alla fine pare che ci siano state non poche frizioni. All'inizio, infatti, l'idea geniale e provocatoria delle teste d'uovo di Libé era quella di far apparire Carlà redattrice-capo per un giorno; di consegnarle, insomma, la redazione per un giorno intero, come avevano già fatto in marzo con un gruppo di studenti di Nanterre per commemorare il '68. Dopo tre giorni di dibattito intenso e trattative, la provocazione si è limitata alla visita in redazione, la copertina e 5 pagine di intervista sullo scibile umano: d'accordo, la first lady non sarà un premio nobel, ma visto che si dichiara "epidermicamente di sinistra", è pur sempre un gran pezzo di figa, canta pure, che si fa: non la si intervista?

Ho sempre pensato che la merda, "epidermicamente", non abbia un buon odore: chissà perché...

- 'l primo che risento parla' male di Le Monde diplomatique lo sfondo.
(Compagno Vladimiro Tegoloni, casa del popolo "V. Majakovskij", durante un dibattito post-tombola).

Ultim'ora: pare che il direttore di Libération abbia sottoposto ai suoi redattori un'altra provocazione dal sapore dadaista: consegnare la redazione per un giorno intero a Marion Anne Perrine Le Pen. Benché non comparabile all'ex-modella, la Marine nationale è comunque una bella biondona, pare canti decentemente e più volte ha dichiarato di sentirsi "epidermicamente" vicina ai soixante-huitards, visto che è nata il 5 agosto del 1968.

20 giugno 2008

Ma a paese...

Non so perché insisto a mantenere il segnalibro live di Repubblica.it sulla barra del mio firefox (a proposito, la versione 3 per Ubuntu è fantastica). Ancora meno so perché insisto a schiacciarlo, di tanto in tanto. In giorni come oggi, però, mi rendo conto che la lettura di questo sito, che assomiglia sempre più ad una parodia comica, mi procura delle risate trasversali. La pagina di questo momento, per esempio, è stupenda.

repubblica.jpg
Ma insomma, è proprio divertente questo paese: qual è la risposta di Valtero a uno che gli dà del fallito (e pure legittimamente: provate a chiamare in un altro modo l'exploit di Cicciobello a Roma, ad esempio)? "Hai perso l'occasione per il dialogo...". E comunque, attenzione: in autunno (che mo' c'amo d'anda' in vacanza, 'gnora mia, che vuole: la politica c'ha i suoi tempi) andremo in piazza! Calearo col temuto spezzone del centro sociale Konfindustria in testa al corteo, la Binetti a volto coperto... diciamo la verità, il PD in piazza fa un po' paura a tutti.

A commento di tutto questo, in basso alla pagina, la dichiarazione di Panucci. Sembra che abbia risposto a Ramos il quale aveva detto: "Italia gran calcio, ma a paese..."

20 dicembre 2007

E sei

Rosario Rodinò, 26 anni

http://www.unita.it/view.asp?IDcontent=71499

Non è facile trovare in rete la notizia. Su l'Unità.it è gia declassata a fondo pagina (il titolo è per il discorso di Veltroni a Milano... adesso è cambiato: la minaccia di Dini).
Su Repubblica.it è uscita ieri sera, ma dopo meno di 24 ore non se ne ritrova più traccia, neanche tra le brevissime.
Beh, l'abbiamo capito che sono morti questi poveri operai e che muoiono ancora, ma adesso basta: è Natale, bisogna preparare il cenone (le ricette di Vissani), decidere se per l'anno nuovo dobbiamo comprare il calendario sacro (le infermiere volontarie della crocerossa) o quello profano (The UK's Hottest Babies) o cattolicamente&italianamente, tutt'e due.
E poi lo sanno tutti che gli italiani preferiscono leggere del tizio a cui gli hanno "riattaccato un braccio staccato da un coccodrillo", di Dini che non voterà la fiducia, degli aumenti della benzina, del boom dell'"amore.it" (dalla rete all'altare), delle rughe di Hillary Clinton che dividono - mio Dio! - gli USA, di Cory, la nuova lolita del web che fa impazzire i giovani.

Ve lo meritate Alberto Sordi.

A perenne memoria:
http://www.cadutisullavoro.it