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29 agosto 2013

Tattoo you

Sì, si pronuncia uguale, ma in italiano si scrive «che» e non «que».
Certo, adesso che te lo sei tatuato sulla schiena sarà difficile correggerlo.

16 novembre 2012

«Non siamo al Parlamento italiano»

Messieurs La Russa et Pannella, je vous en prie: nous ne sommes pas au Parlement italien, conduisez-vous correctement - et arrêtez de faire ces gestes, me comprenez-vous? 

Please, Mr La Russa and Mr Pannella: we are not in the Italian Parliament, please behave properly - and stop making those gestures, do you understand?

(Da una ricerca su Linguee.fr, dizionario e motore di ricerca di traduzioni)

17 gennaio 2012

En français, s'il vous plaît!


Sulla battaglia contro l'invasione degli anglicismi nella lingua francese abbiamo già parlato in più di un'occasione.
Guardando la pecetta sulla pubblicità mi è sorta piuttosto un'altra domanda: da chi è composto questo commando di linguisti d'assalto? Potremmo immaginare un'arzilla vecchietta, maestrina in pensione dalla penna rossa bianca e blu, che se ne va in giro a chiedere - cortesemente - di usare la lingua di Flaubert e Proust al posto dell'odiato anglico idioma?
Oppure un Accademico di Francia che, messi da parte spadino e feluca, si aggira con passo furtivo per le stazioni della metropolitana?
Il mistero è per me fittissimo.

27 aprile 2011

Ah, ecco perché

«Egli l'ha raccontata con molto fuoco e immaginazione, da quel che ho potuto capire grazie alle due lezioni di lingua italiana che ho preso; ma ci sono così tanti vocaboli francesi nelle lingue straniere che noi le comprendiamo quasi tutte anche senza saperle.»

(Il Conte d'Erfeuil in Corinne, di Madame de Staël, 1807)

4 aprile 2011

Gesù Pottolo (salumeria blasfema)


Dopo il Piccolo Gesù in calzoni di velluto trovato - e mangiato - a Rennes, il salone Paris Fermier mi conferma questa strana familiarità linguistica tutta francese tra Gesù e il porco.

7 febbraio 2011

The ones that never knock
Opportunità di carriera e sciocca servitù linguistica volontaria

Il mio (ex) coordinatore del Dottorato in filosofia mi inoltra un foglio informativo (a sua volta inoltratogli da un altro professore su «un’iniziativa di interesse» per dottorandi e dottori al fine, dice, «dell’inserimento nel mondo della ricerca e del lavoro». Il foglio in questione proviene dalla società Emblema s.r.l. che mi offre di iscrivermi ad una Borsa della Ricerca.
Ora, io non è che vengo da’ montagna de’r sapone e non mi rendo conto che in questo mondo tutto si compra e si vende e tutto ha un prezzo, figuriamoci. E non sto nemmeno a questionare quanto possa valere in una «borsa di compravendita della ricerca» un dottorato in filosofia, visto che la domanda è altresì retorica. Il punto che ha attirato la mia attenzione è piuttosto un altro, e cioè la lingua di questo foglio informativo.
La società Emblema s.r.l. (dalla cui Pressroom del loro sito scopro, fra l'altro, che organizzano Career Days e Road Shows per parlare di placement e di recruiting) mi dice che intende
«costruire un network tra i ricercatori (gruppi, dottori di ricerca o spin off) e R&D managers, attraverso un format di interazione originale in grado di favorire concretamente il trasferimento di tecnologia ed innovazione».
Se mi iscrivo a questa Borsa della Ricerca avrò dunque immediatamente a disposizione:
«Una Personal Page»
«Un Wall365, sistema di messaggistica per favorire il networking tra dottori e sviluppare sinergie. Una bacheca virtuale per gestire con continuità le relazioni tra ricercatori ed imprese, proprio come in un social network.»
«DOC: come trovare lavoro partendo dal proprio know how. Da marzo sarà possibile candidarsi ad inserzioni di lavoro e verrà attivato il matching con le aziende.»
«Coaching: eventi on line (webinars) sulle tematiche della ricerca e dell’orientamento al lavoro, ma anche una serie di servizi di consulenza personalizzati. I webinars potranno essere visti in streaming o in differita.»
La società Emblema s.r.l. (che secondo me muore dalla voglia di chiamarsi Emblem Ltd., ma purtroppo la legge non glielo permette ancora), mi consiglia di iscrivermi subito perché «questo strumento rappresenta una novità concreta per l’orientamento al lavoro: webinars e servizi di consulenza personalizzati per imparare a comunicare e a presentarsi in modo efficace. Self branding, autoimprenditorialità, social networks e molto altro».

15 giugno 2010

Reti Sociali Vs. Social Network

Les réseaux sociaux, perché i francesi "tradurrebbero pure loro madre", diceva in un post Suibhne. Per carità, verissimo. Ma continuando a ruminare sul comparatismo culturale, mi è venuto in mente che pure gli spagnoli (quelli del perrito caliente, per intenderci) utilizzano comunemente il termine Redes Sociales. E mi risulta che anche i tedeschi abbiano un Soziales Netzwerk. Al mondo, dunque (lasciando perdere lingue di cui non ho alcuna cognizione), 400 milioni di ispanofoni + 200 milioni scarsi di francofoni + 100 milioni e più di germanofoni, hanno tradotto il famigerato termine “social network”. Ma non noi in Italia. Vista da questa prospettiva, la “mania traduttiva” dei francesi (e degli spagnoli) si riflette in uno “snobismo del quartierino” del nostro Bel Paese, rovescio della medaglia di uno spaventoso provincialismo. A cosa serve, infatti, l'utilizzo a tutti i costi di un termine inglese (pronunciato all’italiana, poi) se non ad alimentare una vanagloria di “saperne più degli altri” nel campo più innovativo del momento? Snobismo condito da una punta di elitarismo: perché mai dovrei utilizzare un termine inglese per spiegare a mia mamma che cosa sono le “reti sociali”?
Poco tempo fa, ad un seminario all’Università di Pisa, un collega, prima del mio intervento, mi ha domandato: "Hai preparato l’End Out?". La prima cosa a cui ho pensato è stata: "madonna quanto sono ignorante!". A mente fredda, mi sono poi subito chiesto perché mai le care vecchie “fotocopie” (avevo capito alla fine, dai gesti, di cosa si trattasse) si dovessero chiamare oggi, in una università italiana - e per giunta in un dipartimento di filosofia - “Handout” (ho poi scoperto il termine “reale”, e qui si dovrebbe aprire una parentesi sui danni dei termini inglesi pronunciati a cazzo di cane). E non sono riuscito a trovare nessuna risposta valida.
Sarà senilità, ma sono sempre più convinto che non ci sia davvero nessun guadagno nell’abdicare totalmente e volontariamente alla ricchezza della propria lingua. 
Nei fatti, poi, restiamo sempre il paese del pliz visit Itali dell’arsciùar? e dell’haccipicchia.

19 marzo 2009

Il piccolo Gesù in calzoni di velluto

Le p'tit Jésus en culotte de velours non è un'imprecazione colorita né l'inizio di un vangelo apocrifo, ma un piede di porco in gelatina, farcito di foie gras e avvolto nella rete del fegato del suddetto animale. Il tutto ben arrostito al forno. L'espressione, in un francese un po' antico, indica qualcosa di estremamente buono, gustoso e vellutato, ed è spesso usata per descrivere un buon vino: "avaler le p'tit Jésus en culotte de velours". Senza contare che il fagottino avvoltolato ricorda un bambinello in fasce (e qui si rasenta la blasfemia pura e semplice).


Per tornare al piatto, il risultato è piuttosto hardcore, esclusivamente per amanti del genere: il foie gras è tuttavia un po' sprecato tra la gelatina e le cartilagini suine. Da Léon le cochon (un nome una garanzia), a Rennes, simpatica e giovane capitale della Bretagna mia bretagna in fiore tu sei la stella tu sei l'amore...

12 marzo 2009

I Fac You

Studenti, docenti, ricercatori, personale tecnico e amministrativo, dopo cinque settimane di mobilitazione, sono scesi ieri in piazza in tutta la Francia (più di 20.000 a Parigi) per difendere l'università e la scuola pubblica dai progetti di smantellamento del governo.

facdart.jpg
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ifacyou.jpg

Il cartello dell'ultima foto mi ha fatto venire in mente un simpatico sketch dell'Auberge espagnole di Klapisch:



4 febbraio 2009

La fine del rotolo

Être au bout du rouleau (essere alla fine del rotolo).

Questa bella espressione francese non vuol dire - come si potrebbe pensare in un primo momento - essere arrivato finalmente al termine di una lunga prova (magari!) ma significa piuttosto "aver finito il carburante, aver terminato le proprie risorse" e deriva probabilmente dai tempi in cui si usavano i rotoli di pergamena.

Ecco, qui stiamo davvero alla fine del rotolo, come esemplificato dalla seguente diapositiva.

rouleau_lzn.jpg

9 ottobre 2008

La polpetta dalle ali di farfalla

No way: i francesi sono dei pessimi pronunciatori della lingua d'oltremanica. Dopo qualche tempo si arriva persino a farci l'abitudine, ma non è affatto facile: è come imparare una terza lingua, diversa sia dal francese che dall'inglese. Quando qualcuno vi parla di un film, di un attore o di un'attrice anglofona (-Desperéit Ausguìvz... Che?!? - Ahhh... Desperate Housewives!) o in radio, quando lo speaker cita un gruppo o un pezzo in inglese, spesso e volentieri non ci si capisce davvero una sega e a volte vengono fuori dei frankenstein che danno luogo ad esilaranti jam sessions di significato.

L'altro giorno su Oui FM il dj annuncia il mitico pezzo degli Smashing Pumpkins, Bullet with a butterfly wings: mettete la "u" che viene pronunciata "all'italiana" (come la "ou" francese), l'accento che, indovinate un po' dove cadrà mai e... hop: eccovi pronti una bella "Bulét", cioé una Boulette, cioé una Polpetta. E se ci aggiungete le "th" che diventano immancabilmente "z" (non avete mai visto nemmeno una Pantera Rosa in lingua originale? Non avete mai sentito Peter Sellers-Clouseau? Beh, dovete rimediare immediatamente: i francesi parlano davvero l'inglese così!) eccovi il risultato:

"Boulette wiz ei bouterfly uingz"

Et voilà: ecco servita una bella polpetta con le ali di farfalla.
Bon appétit!

Le mond est un vampire, mannàcc'...
PS: non mi venite a dire che uno dei significati di boulette è proprio quello di pallottola: è vero, come è vero che - ironia della sorte - il termine inglese bullet deriva proprio dal francese boulette. Ma la giustificazione etimologica a posteriori non cambia nulla :-)