Natalia mi accoglie in uno spazioso salotto, con il suo solito garbo e savoir faire
 di ospite premurosa ma non insistente. I cedri del Libano che cingono 
la sua casa restituiscono all’ambiente un fresco naturale e per niente 
insulso, perfetto baluardo contro la settima e ultima ondata di caldo 
luciferino che assedia la città. Prendo posto su un comodo canapé 
rivestito di morbido chiffon e ricoperto di vecchi merletti. Natalia fa 
portare il tè in un elegante servizio di Richard Ginori profilato in oro, e ci mettiamo subito a 
discorrere amabilmente di cinematografia. 
Il tema centrale è ovviamente The Dark Knight Rise,
 ultimo capitolo della trilogia di Batman firmata Christopher Nolan che 
esce in questi giorni nelle sale italiane ma che, sia io che Natalia, 
abbiamo avuto modo di vedere in anteprima. Sul tavolo basso in ciliegio e
 vetro di murano giace una copia del quotidiano La Repubblica del 20 
agosto 2012, aperta a pagina 19.
– Ho apprezzato molto il suo articolo, cara Natalia – dico prendendo in mano il giornale con una certa nonchalance – e concordo totalmente con i grandi meriti di Nolan, tra i quali c’è «quello di aver creato immagini soprattutto notturne di minaccioso incanto, senza far uso dell’insulso 3D».
 Certo, dico io, la maggior parte delle scene (e certamente tutte quelle importanti) di questo film sono girate di giorno ma perché sottilizzare? 
Il minaccioso incanto resta poi pur sempre tale.
– Il latte è troppo freddo?
– No, il latte va benissimo, grazie. Ma parliamo della durata. Un film «lunghissimo e labirintico» (non avrei potuto trovare aggettivi migliori), che dunque «andrebbe
 visto minimo due o anche tre volte, (e forse per questo nel solo primo 
fine settimana in Usa ha incassato 164 milioni di dollari) se ci si 
intestardisce, nel frenetico accavallarsi di colpi di scena, a voler 
capire tutto quello che succede».
 Devo confessare che anch’io durante la visione ho avuto dei momenti di 
improvvisi vuoti di memoria, e mi giravo di qua e di là nell’impressione
 di essere in un luogo estraneo. Una volta ho persino urlato: «ma chi ha
 spento la luce?». E poi non avevo pensato alla possibilità delle doppie
 e triple visioni in USA come causa dell’incasso mirabolante: è 
un’intuizione geniale, in effetti. Ma perché intestardirsi? Che siamo 
venuti a fare al cinema, mi domando? Siamo venuti a intestardirci a 
voler capire? Il punto, a me pare è il «frenetico accavallarsi». Possiamo dire che il film di Nolan è un film di «frenetico accavallarsi»? 
– Ho delle madeleines appena sfornate: ne gradirebbe una?
– Non avrei l’ardire di accettare ma non posso sottrarmi a tale gentilezza: volentieri, grazie! Dunque, dicevamo, l’«accavallarsi» è la cifra stilistica di questo film. Ed è proprio per questo che è inutile un razionale intestardirsi. Basta allora «lasciarsi
 andare al cinegodimento di tutti gli spaventi e intrighi e volonterosi 
attori: e filosofie e lunghissime discussioni sul bene e sul male; più 
inseguimenti e accavallamenti di macchine, e scontri polizia-criminali e
 criminali-criminali, e colli rotti e ossa spezzate e ammazzamenti a non
 finire e luoghi di tortura e ricordi crudeli e palazzi che saltano in 
aria e fogne invase dall’acqua».
Mimo un leggero applauso con tre dita sul palmo della mano, ma aggiungo subito: – Tuttavia, Natalia, quel «cinegodimento», secondo la mia sempre umile opinione, trovo sia neologismo un po’ volgare. Ecco, l’ho detto, ma non me ne voglia, la prego.
Ma veniamo al côté rosa del film: qui devo dire che è, come al solito, insuperabile. A parte «i baffoni a spazzola»
 di Wayne che mostra di non apprezzare (quando invece, secondo me, 
quell’aria da baffessa un po’ Freddie Mercury non gli stava affatto 
male), ho fatto salti di gioia nel leggere il dettaglio della «nera tuta con orecchie da pipistrello, che gli fa pettorali enormi». E poi, la voce di Wayne, che «mormora dolcemente solo concetti tombali».
 Ma l’acme è quella strizzatina d’occhio appena accennata, quel leggero 
colpo di fioretto sulla tuta senza la zip che chiude il paragrafo 
successivo. Mi permetta di citarlo per intero: «Ci
 si abbandona sereni al fracasso dello schermo però anche chiedendosi, 
in un momento di lucidità, perché non tanto Batman, che con quella tuta 
di gomma senza una sola zip avrebbe certo non poche difficoltà, ma 
l’elegante languido, sempre sofferente Bruce Wayne, lasci del tutto 
intonse le due belle signore dalla voce sensuale che gli soffiano 
suadenti nell’orecchio, la Cotillard dallo sguardo assassino e la 
Hathaway dalla bocca color fiamma».
(Alla
 fine della citazione non riesco a trattenere una risatina che cerco di 
mascherare come posso con il tovagliolo azzurro di fiandra finemente 
ricamato a punto croce. Ma all’improvviso ho come un vuoto di memoria. 
Panico. Mi balena davanti una scena di Bale e la Cotillard dallo sguardo assassino che trombano ignudi su un tappeto davanti al caminetto acceso, in una scenografia da volgare softcore anni ’70.
 L’ho sognata, quella scena, oppure era vera e dunque il momento di lucidità di 
Natalia che si sveglia di soprassalto sarà avvenuto dopo, 
lasciando la nostra critica digiuna di scene piccanti e abbandonata al 
fracasso dello schermo? Il dubbio mi rimane tutt’oggi poiché non ebbi il
 coraggio allora di approfondire tali scabrose questioni).
–
 Il dettaglio piccante è però pur sempre un dettaglio; si ritorna subito
 infatti alla critica seria, profonda (oserei quasi definirla militante,
 se l’aggettivo non fosse ormai abusato). Batman e la politica. E qui 
però ho un dubbio: pur accettando la smentita di Nolan sul legame tra il
 film e l’attualità, la sua affermazione «al massimo si può pensare che se fosse americano, Nolan voterebbe Romney» vuole forse nascondere un velato parallelo tra il regista inglese e Clint Eastwood?
Natalia
 chiede il permesso di alzarsi a chiudere ancora un po’ le tende di 
macramé, a schermare quei pochi raggi di sole che sono riusciti impavidi a oltrepassare le ultime barriere dei cedri.
Prendo
 il suo gesto come una risposta affermativa con qualche distinguo, e continuo nella nostra amabile conversazione.
– Certo le cose non sono mai tutte bianche o tutte nere, ed è pur vero che «il
 pensiero, lungo il lungo film, si ottunde, si rinuncia a dare un senso 
alle trame dei cattivi e alle crudeltà dei cattivissimi».
 In ogni caso, la chiusura del pezzo è magistrale. Non ricordo più qual è
 il nome di quella figura retorica che consiste a dividere un elenco in 
classi contrapposte, ma per semplicità lo chiamerò il gioco del non è un film per / è invece un film per. Mi lasci dire, cara Natalia, che lei eccelle in questo gioco. Ma vediamo nel dettaglio. Questo non è un film per «bambini e adolescenti». Non è nemmeno un film per «adulti desiderosi di divertirsi, data la sua insistenza sulla fine e la morte». Per chi è, dunque, questo film? «forse
 per filosofi, studiosi comportamentali, psichiatri e giallisti, oltre a
 scienziati delle comics e superstudiosi che seguono Batman sin dal film
 di Tim Burton dell’89».
Qui
 devo confessarle che ho avuto davvero un’illuminazione. Non che io 
possa essere considerato un filosofo (certo non ardirei mai a tale 
titolo vuoto e insulso, un po’ come il 3D) ma ho forse capito perché io e
 i miei amici siamo usciti estasiati dalla visione del film. Neanche a 
farlo apposta, infatti, ci ero andato con Gertrude Gomasio, dottoranda 
in studi comportamentali, Jeanne Allegretti, all’ultimo anno di 
specializzazione in psichiatria, Sauro Sandroni, noto giallista della 
Valdicecina e last but not least Jean-Luc Del Carpio, il più grande scienziato delle comics di Parigi e provincia, autore del maggior blog sull’argomento: Oggi le comics (oggilecomics.wordpress.com).
Ringrazio
 infine la Aspesi per le sue recensioni sempre ficcanti e pregne di 
senso e significato, come pregno è il voto finale: 4 su 6, un film «da 
vedere», dunque, che si posiziona tra il «si può vedere» e il «da non 
mancare».  
Natalia,
 sempre gentilissima, prima di congedarmi mi offre un bicchierino di 
rosolio che io gentilmente rifiuto vista l’ora tarda. Prendo la mia 
paglietta ed esco tra i cedri profumati, con l’impressione di aver 
vissuto un grande momento di critica cinematografica.
 

 

 
 
 
 









1 commento:
O tempora, o mores...
AZ
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