5 maggio 2010

Ricorrenze

Il posto dove fu colpito a morte è sul lungarno Gambacorti di Pisa, tra la via Toselli e la via Mazzini. Si lascia sulla sinistra, venendo dal ponte di Mezzo, il palazzo del Comune e si cammina lungo una ininterrotta serie di piccole botteghe che forse esistono da secoli e hanno mutato soltanto il genere dei loro minuti commerci. Una mescita di vino al numero 10, all’angolo di via delle Belle donne; un tappezziere al numero 13; un aggiustatore di macchine fotografiche al 14; la calzoleria “La rapida” al 16; l’agenzia Sbrana, compravendita e affitti, al 18; il circolo Enal al 19.
Alle spalle dell’isolato, via della Nunziatina, nell’intricato quartiere del sottoproletariato rosso. Di là dall’Arno, sotto i palazzi aristocratici e inaccessibili, lo scalo del carbone con la lapide che ricorda l’approdo della barca di Garibaldi ferito sull’Aspromonte.
Non lontano dal lungarno Gambacorti, tante volte citato nei rapporti dei commissari di pubblica sicurezza, nei verbali dei sostituti procuratori della Repubblica, nelle sentenze dei giudici istruttori, nelle cronache dei giornali e nelle relazioni dei periti medico-legali, splendono i gioielli dell’arte e della religione, Santa Maria della Spina, San Paolo a Ripa d’Arno e, a pochi passi, la chiesa di Santa Cristina dove, il 1° aprile 1375, santa Caterina da Siena ricevette le Sacre Stimmate, “cinque lucidissimi raggi sanguigni, usciti dal Santissimo crocifisso sull’altare e andati a ferire le mani di Caterina, i piedi, il suo castissimo e virgineo petto”.
Ma la sera del 5 maggio 1972, né la patrona d’Italia, né la presenza antica di bellezza e di arte, né i segni della storia e della cultura servirono a salvare dalla furia della polizia, tra la bottega del vinaio e quella del tappezziere, un giovane non alto, ricciuto, gli occhiali da miope, il viso serio e sofferto, vestito con una giacca marrone, un paio di pantaloni di lana nera, una camicia con le maniche lunghe dai disegni fantasia color giallo arancione. Franco Serantini, di vent’anni, sardo, anarchico, figlio di nessuno nella vita come nella morte. 
(Corrado Stajano, Il Sovversivo)

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