18 ottobre 2011

This must be the - oh shit! (E mo basta veramente però)

... Questa è l'ultima, poi giuro che mi cheto. In realtà sarà più una recensione di una recensione, dunque una sega all'ennesima potenza, o se preferite una critica zombi (se recensire è un po' morire, recensire una recensione è morire due volte oppure rinascere non-morto con istinti parassiti).
... Il brandello di carne insanguinata che ha attirato il mio cannibalismo è stato dilaniato da Malcom Pagani, su Il fatto quotidiano, che è andato letteralmente in estasi davanti a This must be the place. E ha scritto un vero e proprio panegirico su quello che secondo lui è - senza alcun dubbio - il miglior film di Paolo Sorrentino.  Un film straordinario
Per fattura ed etimologia. È fuori dall’ordine senza compiacimenti. Sublima l’estetica, ma ha una trama plausibile. 
... Peccato che l'estetica di questo film sia tutto fuorché sublimata: è anzi talmente sovrabbondante che diventa fine a se stessa; una vernice sbrilluccicante su una macchina vuota, senza motore, che esprime il peggior manierismo, lo stile stiloso, la posa artistica. Dopo dieci minuti già non se ne può più: il carrello che avanza, il carrello che arretra, plongée, contre-plongée, il carrello che gira intorno; è un tripudio inutile di dolly, una danza insensata e continua di movimenti di macchina. In questa antologia da manuale non manca niente: né un movimento in avanti con dissolvenza su un lenzuolo (il dis-velamento del cinema, capito, no?), né un ralenty buttato lì alla cazzo (ben altro senso nei ralenty di Drive). A questo si aggiunge una colonna sonora che più didascalica non si può, con pianoforti plinplon e violini incomprensibilmente sparati a un volume assurdo.
... Verrebbe voglia di suggerire una piccola Cura Ludovico per Malcom Pagani: una visione a palpebre bloccate de La Région Centrale di Michael Snow. Ma siccome sono buono, mi limito a consigliare un piccolo ripasso, barattando tre ore di tortura con «un minuto e quaranta di cinema puro». Come dice bene quello zombi di mio cugino: «Il carrello non è sempre necessario, a volte anche una piccolissima panoramica può essere una questione morale».

... E passiamo al contenuto. Nonostante percepisca netti «afrori di Oscar», Pagani utilizza l'eufemismo «plausibile» associato alla trama, tradendo la palese vacuità del soggetto e la fragilità della sceneggiatura. Ma il vero problema è questo manierismo estetico applicato a un tema come il nazismo e i campi di sterminio che, alla fine, manda tutto in vacca. Nella superficialità si stempera tutto, si perde il senso, si ha la sgradevole sensazione che ciò che importa è la posa, il gesto (e allora parliamo pure di sarcicce, tanto va bene così).
... Ma forse noi non abbiamo capito, ci siamo fermati alla superficie, poiché il recensore celebra un Sorrentino che va oltre
Tocca i tabù, scava in profondità, brucia gli schemi e li ribalta. Ti porta sulla strada. Ti fa annusare gli odori. Gli hamburger bruciati nel cuore dell’America predesertica, dove l’acme del sogno è una citazione nel Guinnes dei primati “abbiamo il pistacchio più grande del pianeta qui, sai?”, i motel sono vuoti dodici mesi l’anno e la disperazione, quando pulsa, assorda. Anche per questo, This must be the place è un film straordinario. 
... Pagani scrive come se non ci fosse una storia del cinema. E non c'è bisogno di avere chissà quale cultura cinematografica qui: basta fare il nome dei Fratelli Coen. Non c'è nessuna profondità nella macchina da presa che si avvicina al tir che trasporta il gasolio, scende sotto il pianale e - ohhhhh! - risale piano, si avvicina al SUV di Cheyenne e si ferma sul viso del pellerossa che gli chiede il passaggio (Cheyenne/il pellerossa, capito la metafora oscura?) Non c'è nessuna profondità nell'hamburger bruciato «nel cuore dell'America predesertica». Pagani scrive come se (e Sorrentino gira come se) negli ultimi anni non ci fossero state serie TV con una qualità spettacolare, che con 30 milioni di dollari producono un'intera serie, che con il cachet pagato a Eve Hewson (che Pagani ci svela essere la figlia di Bono Vox: ah sì? Ma interessantissimo!) ci pagano un Bryan Cranston.
... Odori? Tabù? America Profonda? Ci sono più cose in un bucket di Los Pollos Hermanos, caro Pagani, di quanto ne mostrino gli hamburger bruciati di This must be the place.
... È davvero incomprensibile quest'estasi ipnotica davanti a un'America di cartapesta, frutto di un esotismo ormai consunto e fuori tempo massimo. Per carità, questa pagliuzza esotica è bella, lucida, rifinita, perfetta. Infinitamente più figa della trave locale:
A Barcellona Pozzo di Gotto, vicino a Messina, è stata inaugurata nel 1998 una statua creata dall'artista siciliano Emilio Isgrò: rappresenta un seme di arancia ingrandito a dismisura e alto ben 7 metri.
(Strano, ma vero! n. 27869, La Settimana Enigmistica n. 4147, 17 settembre 2001)

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