9 febbraio 2012

Il Festival del Cinema di Télérama


Da quando abbiamo iniziato ad andare al cinema a Parigi, siamo subito diventati fedelissimi del Méliès di Montreuil per almeno tre motivi essenziali: è vicino a casa (3 fermate di metro), è sostenuto dal Dipartimento Seine-Saint Denis (soldi pubblici che vanno alla cultura: il peggior incubo di ogni liberista) e dunque costa meno. Inoltre ha delle ottime sale e sostiene una programmazione di qualità, con dibattiti e iniziative.
Ma ogni tanto è bello cambiare, e il Festival del Cinema di Télérama è una buona occasione per scoprire nuove sale cinematografiche (e per recuperare i film persi nella scorsa stagione).
Il festival funziona così: 15 «migliori film dell’anno» (14 selezionati dalla redazione, uno dai lettori) vengono riproposti per una settimana, in un numero cospicuo di sale a Parigi e nel resto della Francia. Comprando la rivista si ottiene un coupon con il quale si può assistere ai film in questione, a una tariffa speciale di 3 euro.
Quest’anno siamo stati particolarmente bravi, riuscendo a infilare un film al giorno per sette giorni (Drive, Black Swan e Le gamin au vélo li avevamo già visti; Habemus Papam, preveggenti, l'abbiamo piratato; Incendies, Les Bien-aimés, La guerre est déclarée e L'Exercice de l'Etat ce li siamo persi). La maratona è stata piuttosto dura ma ne è valsa decisamente la pena.
Ecco a voi la breve cronaca.

Mercoledì 18
Cinema Le Brady – Albatros, Boulevard de Strasbourg.
Sala piccina picciò e schermo pure ma, come al solito, eravamo in seconda fila, dunque il dettaglio è trascurabile. La sala è anonima ma graziosamente arredata con manifesti dei classici della fantascienza anni ’50: Le jour que la terre s’arrêta, Blob, La fiancée de Frankenstein, The incredible shrinking man, ecc.
Essential Killing, di Jerzy Skolimowski. Un prigioniero talebano viene trasferito – dopo aver subito numerose torture – in una base americana in Polonia. Durante il viaggio, un furgone sbanda e lui scappa. Il film è fatto tutto da questa continua fuga nella neve e nel freddo, un’immersione Into the Wild tragica e, soprattutto, non consenziente. Il rapporto uomo-uomo ridotto al grado zero dell’animalità: animali sono considerati i talebani e vengono dunque trattati come tali, animale sarà l’istinto di sopravvivenza del fuggitivo. Soggettive inquietanti e traballanti che si fermano al momento giusto (prima dell’inevitabile capogiro), pochi dialoghi, un grande Vincent Gallo. Film Notevole.

Cinema Le Champo, in Rue des écoles. Sei anni a Parigi ed è la nostra prima volta in questa sala storica: shame on us. Sala 2 piccolina, poltroncine supercomode, soffitto illuminato da tantissime stelline: il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me. Perfetto adagio per il film proiettato sullo schermo, Bir zamanlar Anadolu'da (Il était une fois en Anatolie) di Nuri Bilge Ceylan, probabilmente il film più bello visto quest’anno (ne ho già parlato ampiamente qui).
Cinema sempre Le Champo, sempre Sala 2, sempre il cielo stellato sopra di me ma stavolta l’uomo col fiasco dietro di me: il proiezionista, evidentemente ubriaco, ha avuto grossi problemi con la messa a fuoco. Maledetto.
Tomboy, di Céline Sciamma, è un film che affronta un tema piuttosto difficile (l’identità sessuale e la preadolescenza) in maniera estremamente delicata e felice. Da vedere.

Cinema Studio 28, in rue Tholozé. Questo cinema storico di Montmartre è anche uno dei più belli di Parigi: la sala dal soffitto altissimo, il sipario rosso che si apre prima della proiezione, il piccolo bar con la micro terrasse attigua. Che ci venite a fare in vacanza a Parigi se non visitate posti come questo?
Jodái-e Náder az Simin (Une séparation), di Asghar Farhadi, o Divorzio all’iraniana. Il regista muove un po’ troppo la camera a mano per i miei gusti, ma il suo obiettivo è quello di stare incollato ai visi e alle espressioni dei suoi personaggi: bisogna ammettere che ci riesce egregiamente, mettendo in scena in maniera secca e precisa lo svolgersi di un dramma familiare. Attori bravissimi che si muovono tra burocrazie e complesse relazioni sociali. Molto bello.

Cinema Les 7 Parnassiens a Montparnasse. Sala strapiena, resta solo la prima fila disponibile; ma le poltrone sono davvero troppo vicine allo schermo, che è pure piuttosto grande. Franz resta a vederlo in posizione astronautica, io ci rinuncio e mi metto in corridoio, seduto a terra accanto all’estintore.
Le Havre è un Kaurismaki classico, pieno di omaggi (ancora una volta i Blues Brothers!), citazioni e autocitazioni. Ma questa volta il lieto fine è talmente lieto e totale (gli italiani titolano non a caso: Miracolo a Le Havre) da risultare un po’ stonato: speranza nel futuro o utopia estrema? A sentire Kaurismaki stesso, il film sarebbe «un contrappeso a una realtà troppo tetra». Già in Ho affittato un killer, Joe Strummer cantava: «Some dreams are made for children / But most grow old with us». Continuiamo a sognare, dunque. Applausi alla fine del film (evento raro).

Lunedì 23.
Cinema L’Archipel, Boulevard de Strasbourg. La sala è piccola, con un bar (?) in fondo. Aria (e purtroppo anche audio) da cineclub.
La piel que habito di Pedro Almodovar è tratto da un romanzo di Thierry Jonquet (Mygale) che per fortuna non ho letto (c’è un «colpo di scena» a circa metà film, che definirei radicale). Il ritmo non è abbastanza serrato per essere davvero hitchcockiano, né il tema abbastanza graffiante per essere buñueliano (i due autori più citati dalla critica favorevole). Rimane un film «vintage», piuttosto godibile, a cui manca però il nerbo. Banderas invecchiato assomiglia sempre di più a Sean Connery.

Cinema Le Nouveau Latina, Rue du Temple. C’è un bar, al primo piano, molto bello e molto rosso. Fuori piove e dentro profuma di Yogi Tea. La sala 2 è minuscola e strapiena (questo festival è decisamente un successo). Sembra di stare nel salotto (grande), in casa di qualcuno.
Per Les Neiges du Kilimandjaro di Robert Guédiguian vale lo stesso commento a Kaurismaki: è un «classico» Guédiguian (Marsiglia, i portuali, la CGT, il trio Ascaride-Darroussin-Meylan), dunque prendere o lasciare. Io ho preso, con qualche importante riserva (recitazione piiuttosto sciatta – a parte Ariane Ascaride, sempre perfetta –, qualche meccanicità di troppo nella sceneggiatura, un digitale fastidiosamente sgranato, specie nelle scene con poca luce). Il film è stato spesso accusato di «buonisentimentismo» ma è una fesseria. In realtà ha una conclusione piuttosto pessimista, con una frattura decisa tra la generazione sconfitta dei padri e quella (X, Y o Z) dei figli.

3 commenti:

Zazie ha detto...

Approvo tutto, anche se io penso che il film di Kaurismäki sia un capolavoro! Certo, siete venuti al Ciné Studio 28, di fianco a casa mia, senza dire niente!!!! Questo non ve lo perdono!!!

arco ha detto...

Eh, ma tu eri a bere champagne con Meryl Streep, non c'eri mica a casa!
:)

Ma quanto sarà bello lo studio 28?

francesca ha detto...

MERAVIGLIOSO!
E io, come una baNbina di 6 anni, l'ho laicato su FB :P

Comunque, Zazie, ti avevo promesso che ci saremmi visti più spesso, peto veniam... Ma pure te che sei sempre in giro per il mondo, eh!