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10 luglio 2012

Un TARDIS a Parigi: l'Onigiri-ya di Madame Sugako

Una delle cose affascinanti di Parigi è la presenza di luoghi dove, inspiegabilmente, il flusso spaziotemporale smette di funzionare, il vortex si incastra: sono portali  purtroppo sempre più rari  verso altre dimensioni, che si aprono quando meno te l’aspetti, tra una boulangerie e un PMU. L’onigiri-ya di Madame Sugako è uno di questi. Passeggiando per il mercato coperto di Batignolles, un mercato coperto identico a tanti altri mercati coperti parigini, all’improvviso vieni catapultato nella periferia di Tokyo, in cucina di Madame Sugako: due piastre, una friggitrice, un bollitore per l’acqua, un cuoci riso a vapore, padelle e casseruole. L'arredamento è completato da due piccoli tavoli e due sgabelli per poter mangiare al bancone facendo due chiacchiere con la padrona di casa. 

Dieci anni fa, Madame Sugako lascia il natìo borgo selvaggio e la professione di insegnante di piano per venire a Parigi e fare quello che ha sempre amato: cucinare. «Il piano è molto bello, dice, mi piace molto. Ma l’esercizio continuo è stressante: io mi rilasso soltanto in cucina». Questa simpatica giapponese è due volte figlia d’arte, poiché la mamma, insegnante di canto, le ha trasmesso la passione per la musica ma anche quella per i fornelli. Originaria del nord del Giappone, Nonna Sugako ha imparato a cucinare dai libri di ricette (chissà a cosa assomigliano gli Artusi e i Cucchiai d’argento del Sol Levante): la cucina della figlia non ha dunque un vero e proprio carattere regionale ma ha incontestabilmente il tocco della cucina familiare. «Ed è molto sana», ripete spesso, mentre con abile maestria tutta nipponica forma nelle mani gli onigiri, questi arancini piramidali di riso ripieni di pesce, miso, lardo o verdure, legati insieme con una foglia croccante di alga nori.

Siamo arrivati verso l'una e il sushi era già finito. Scegliamo dunque un bento (8.50 €) composto da due onigiri (salmone e miso), due tempura di Kabocha, una ciotolina con dentro un buonissimo stufato di melanzane, tofu fritto e polpette di carne di maiale, un contorno di crisantemi aromatizzati al bonito.

Il tè verde, offerto à volonté, non ha per fortuna il caratteristico gusto di bava di lumaca. Il segreto, ci spiega Madame Sugako, è nella temperatura dell’acqua (non più di 80°) e nel tempo di infusione (non più di due-tre minuti). Nonna Sugako addirittura prolunga l’infusione a 10 minuti e abbassa la temperatura a 60°: così viene fuori un tè più profumato, quasi dolce. Finito il bento, un po’ per curiosità, un po’ per la modestia delle porzioni (che il mio collega dall’appetito pantagruelico ha considerato come un antipasto), abbiamo deciso di aggiungere due bocconcini di sgombro appena fritto con composta di cavolo cinese (2 €): una vera delizia.


Ho provato a farmi dare la ricetta di questa composta delicatissima ma la cuoca è rimasta sul vago. Prima ha affermato, modesta, di aver «solo fatto cuocere tanto tempo il cavolo», poi ha ammesso di averci messo dentro «un po’ di questo, un po’ di quello». Spezie, aromi, salsa di soia, salsa di ostriche e altre cose: «un po’ di questo, un po’ di quello». A fine pasto, Madame Sugako mette in un piattino un po’ di noccioline caramellate a mo’ di dessert e mentre salutiamo ci dice: «Ah, l’italiano è una lingua bellissima, la lingua più musicale del mondo! Mia madre la conosceva bene, lei cantava le canzoni in italiano». E come si dice quando si saluta? «Buongiorno» e «arrivederci».


Tornando a casa, attraversiamo un altro varco spaziotemporale, questa volta di proposito, aprendo la porta del nostro TARDIS davanti alla ben nota «Pastelaria Belem». Entriamo e lasciamo ancora una volta Parigi: gente che parla in portoghese, azulejos, profumo di pasteis

Un caffè «Delta» (onesto) e un pastel de nata per finire questo brunch domenicale: allons-y!

15 aprile 2012

Il magretto sull'ovetto (What the fock is brunch?)


Dopo un folle sabato sera passato in spericolate sfide a scopone scientifico e tressette, la colazione di domenica mattina non può che trasformarsi in un bel brunch.
Nella foto, un cestino di uova con magret de canard, che è venuto forse un po' più buono della sua versione con lo speck di un mesetto fa.

12 marzo 2012

Siamo mangiatari

Ed eccoci di ritorno da un altro lungo weekend familiare durante il quale abbiamo mangiato come non mai. Sarà l'età, sarà l'abitudine alle porzioni francesi («le francesi non ingrassano»), ma è sempre più difficile mantenere i ritmi pranzo/cena ai quali si era abituati anni addietro.

Allora basterebbe mangiare di meno, direte voi, declinare gentilmente l'invito al pasto preparato con tanto amore. Il punto è che non si può. E non soltanto per il rapporto che lega chi prepara il cibo e il commensale, ma perché proprio non si può dire di no davanti ad un'insalatina di baccalà con pomodori e cipolline, uno spezzatino di agnello con rape saltate, due pomodorini secchi, due melanzane sott'olio, una fettina di caciocavallo, un bigné alla crema, due amaretti di sassello, un cuneese al rum, un carpaccio di manzo di pozza della garfagnana, due salsiccine di cinta senese alla griglia con verdurine di stagione, una focaccia con cecina, un carpaccio di tonno all'arancia, pinoli e uvetta, un carpaccio di pesce spada al limone e pomodorini secchi, un carpaccio di baccalà ai capperi e prezzemolo, due tartine al burro con le uova di lompo, due spaghetti al ragù di cozze e vongole, qualche trancio di calamaro ripieno e piselli, una fetta di torta mimosa, un'altra focaccia con cecina, due pomodorini secchi, due melanzane sott'olio (gli esperti avranno subito riconosciuto le due cene di magro), un po' di gamberoni gratinati al forno, due polpettine di baccalà, un trancio di baccalà al pomodoro, un piattino di insalatina (per rinfrescare), e poi ancora un pezzo di caciocavallo, due o tre bigné, due fette di arrosto di maiale, un po' di trevisano al forno, un amaretto di sassello, altri due bigné, un cuneese al rum, il tutto annaffiato da svariate bottiglie di vino bianco e rosso, liquore d'arancia fatto in casa, caffé.

La verità è che siamo «mangiatari», come afferma l'esimio Peppe Cavallari nel terzo episodio del suo Popone agostano: «Le nostre mangiate, somigliano a prove cardiologiche sotto sforzo: da un momento all'altro ti può capitare 'u capustoticu, il malore improvviso, subitaneo, il fulmine a ciel sereno. Ma senza esitare si rischia, si rischia comunque la prova mortale, la prova finale. Insomma: si mangia».

16 dicembre 2011

Vous avez dit macaron? Arigatō!

L'altra sera avevamo due amici a cena (non per cena), pure loro italiani in esilio, del «circolo dei bloggers parigini estinti». Avendo scoperto una comune passione per la tarama & affini, avevo promesso loro un dîner a tema, con un menu composto da blinis con tarama al naturale (non colorata col pennarello), rillettes di tonno ai capperi, tartara di alghe, fegato di merluzzo affumicato e salicornes. Poi due spaghetti alla bottarga - ricetta di mamma - e per finire un po' di formaggio, ché una cena senza formaggio è una bella donna a cui manca un occhio, come diceva quel tale.

I nostri ospiti si sono guardati bene dal portare del vino e hanno optato per il dolce: una scatola di macarons. Ora, direte voi: e che sarà mai! I macarons sono overrated (e da quando Ladurée ha aperto a Milano, diciamolo, pure un po' sputtanated). Ma dimenticatevi tutto quello che sapete sui macarons. Dimenticate l'antagonismo eterno tra Pierre Hermé e Ladurée, dimenticate tutti gli articoli su «dove trovare i migliori macarons a Parigi», dimenticate le degustazioni dei giornali specializzati (nelle quali, puntualmente, arrivano ai primi posti i macarons surgelati di Picard che si fanno burla dei più grandi pasticcieri titolati).
Dimenticate tutto, perché il maestro Sadaharu Aoki ha sfornato il macaron definitivo. La pasta è croccante e morbida allo stesso tempo, la crema ha una consistenza perfetta. E i gusti: tè matcha, cassis, violetta, sesamo, earl grey (il mio preferito), rosa (che non ho mangiato per pregiudizio, ma mi assicurano eccezionale). Dal piccolo e stiloso depliant, ho anche scoperto l'esistenza di un macaron al wasabi e un altro all'umeboshi (e non vedo l'ora di assaggiarli).

I nostri ospiti hanno così vinto la cena, facendoci scoprire questo Chef pâtissier nato a Tokyo nel 1968 e trasferitosi a Parigi nel 1991. Dopo dieci anni di gavetta alla corte dei grandi, Aoki apre la sua prima pasticceria nel 2001. E pensare che siamo stati dieci anni nell'ignoranza (David Lebovitz lo citava già nel 2005 e non per i macaron: pare che la sua specialità sia la pasta sfoglia): roba da matti.

Haiku makaronu

Amo il semplice
ma è difficile:
non puoi barare.



2 novembre 2011

haivolutovedereparigi tra i meilleurs blogs de gourmets étrangers sur la France

Millefeuille d'aubergines, noires de Crimée et chèvre frais
L'hanno rifatto. Ancora una volta haivolutovedereparigi si becca un premio dalla redazione Style de lexpress.fr. Non ho la minima idea di come sia potuto succedere - e la cosa ci lascia alquanto costernati - ma ammettiamolo per un momento: secondo me a quelli della redazione stiamo simpatici, anche se non capiscono una mazza di quello che scriviamo (io sospetto alla base di questi carotaggi in rete il famoso algoritmo a muzzo, ma vabbé).
In effetti, la ricerca per tag cibo su questo blog restituisce qualche riflessione sulla gastronomia d'oltralpe, ma citarci nella stessa pagina insieme a David Lebovitz! No dico: ma stiamo scherzando?
Sarà forse un segno del destino? Un richiamo insistente a imboccare in modo deciso e definitivo la via del foodblogging? Una luce che da lontano ci indica il mondo di Csaba?
Solo il futuro potrà rispondere a queste domande. Per adesso ci teniamo stretto questo award di «blog qui fait saliver en italien».
Bon Appetit e gnégnégné à tout le monde.